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Il Papa e il parroco

di Luigi Del Favero

Domenica 27 aprile due Papi del nostro tempo verranno dichiarati santi. Una dichiarazione solenne che però non aggiunge niente a personaggi ben noti, già amati e pregati come Santi dalla gente, seppure in modo diverso. In questi giorni si parla e si scrive molto di loro. Per Giovanni XXIII si è rispolverata la definizione di ’parroco del mondo’. Qualcuno la usa in modo riduttivo per dire che quel Papa era buono e semplice, che non usava il linguaggio difficile dei teologi, che si fidava di tutti, peccando talvolta di ingenuità. Costoro dimenticano che Angelo Roncalli era stato uno studioso, che aveva scritto libri di storia, che aveva percorso il mondo e era stato presente in vicende internazionali complicate, soprattutto durante la seconda guerra mondiale, che era stato uno dei diplomatici più abili che la Santa Sede abbia avuto nella prima metà del ’900. La sua opera più importante è addirittura epocale: un Concilio Ecumenico! Il parroco non l’ha mai fatto, neppure per un giorno. Tuttavia nell’indicarlo come il ’parroco del mondo’ c’è una sicura intuizione che coglie il segreto della sua santità. Papa Giovanni era veramente buono, di una bontà conquistata e coltivata tenacemente, vicino agli uomini senza distinzioni. Ha spalancato le porte della Chiesa a tutti, volendo che essa ritornasse a essere la fontana del villaggio che a tutti offre la sua acqua. L’insistenza sull’unità e sulla pace, sulla sua bocca aveva un sapore solamente evangelico. In lui la paternità ha assunto un volto, una voce, una presenza, un modo di esserci: noi che abbiamo visto, abbiamo capito e abbiamo amato da figli questo padre alla cui morte abbiamo pianto, sentendoci orfani.
Per Giovanni Paolo II, l’altro Santo di questo mese, nessuno ha mai usato l’espressione ’parroco del mondo’. Appariva a tutti come un condottiero, una guida, un testimone, un laeder: l’unico del suo tempo, capace di entusiasmare le folle e di attirare i giovani che lo hanno ben capito.
Ma papa Woiytjla ha parlato dei parroci. Secondo quanto affermato da un importante cardinale, il Papa era consapevole delle folle che lo seguivano, ma sapeva guardare in profondità e una volta disse: «Per la gente il vero papa è il proprio parroco». Forse non c’è mai stato un elogio così alto per i parroci. Eppure nessun parroco al mondo lo reclamerebbe per sé o se ne farebbe un vanto. Appartiene infatti al nucleo di questa figura lo stare in mezzo alla gente, l’appartenere a un popolo, il conoscere direttamente i membri della propria comunità, il partecipare alla vita dei suoi.
Fare il parroco è il mestiere più bello del mondo. Non ti cercano per le tue qualità, per la bravura organizzativa, per la qualità delle prediche, neppure per la santità personale. Uno ti cerca perché gli appartieni, sei semplicemente il "suo" parroco ed estende a te quello che prova verso suo padre. Raramente te lo dice e spesso esige molto da te e non si ricorda di ringraziati. Come capita con il proprio padre. Talvolta non sa neppure il tuo nome; i giovani ti chiamano semplicemente "don" e i più vecchi ti dicono "padre". Mi è capitato spesso di essere chiamato con il nome dei miei predecessori e di essere confuso con uno di loro: la cosa non mi ha mai dato dispiacere, piuttosto mi ha divertito e in qualche caso commosso. Dà una grande libertà essere cercato da giovani e vecchi che ti raccontano la propria storia, ti vogliono vicino, esigono la tua presenza, ti confidano qualche segreto, solo perché sei il loro parroco. Si aspettano che tu li raccomandi al tuo Signore, anche se loro lo conoscono e lo frequentano poco. Domani faranno altrettanto con il tuo successore e tu, da lontano, continuerai a ricordarli nella preghiera. Così anche tu puoi dare tutto, senza legarti in modo esclusivo a nessuno, senza creare dipendenze che non fanno mai bene.
Forse questa figura di parroco sta scomparendo e presto le cose saranno diverse. Le condizioni di vita sono tanto cambiate e il modello che qui è stato evocato appartiene al prete di montagna o di campagna che presto non ci sarà più così come l’abbiamo conosciuto. C’è poi il dato di fatto che i parroci sono invecchiati, drasticamente diminuiti di numero, abitualmente incaricati di due, tre o anche più comunità. Sorgeranno forme nuove, adatte ai tempi mutati. La fisionomia dei preti del futuro si intravede già: saranno più simili ai missionari. Già oggi a coloro che si preparano al sacerdozio si domanda di voler diventare missionari: bagaglio leggero, essenzialità, disponibilità a cambiare, esperienza nella semina, nessuna pretesa per il raccolto, consapevolezza delle possibili persecuzioni, capacità di collaborazione, senza perdere mai il contatto con Colui che li manda. Pena lo smarrirsi immediatamente.
Tuttavia posso pregare papa Giovanni XXIII perché da santo qual è ottenga alla nostra Chiesa ancora un buon numero di parroci e che questi assomiglino almeno un po’ a lui, il parroco del mondo. I più giovani lo conoscono solo adesso e scoprono la sua figura che non ha perso la capacità di attirare.
Giovanni Paolo II era un autentico missionario: gli affideremo il compito di assistere i preti dell’ultima generazione perché abbiano il suo coraggio e la sua passione. Ripeta a loro la parola che fece il giro del mondo nel 1978: «Non abbiate paura! Aprite, spalancate le porte a Cristo perché Lui sa cosa c’è nel cuore dell’uomo».

Leggi "Don Luigi Del Favero" della settimana scorsa.

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