L’Amico del Popolo.it
Info | YouTube

Cosa è accaduto ai tigli?

di Luigi Del Favero

Dicono che Dino Buzzatti lo considerasse uno dei paesaggi più belli d’Italia. E non è poco! Lo si può godere sostando tra il municipio di Belluno e le Poste e guardando verso il Piave, seguendo con gli occhi tutta la valle sottostante. Se poi si scende a piedi verso via del Piave, l’angolo di visuale si modifica, ma in qualche modo si arricchisce e si completa. Nell’ultimo tratto si cammina sotto i tigli, alcuni giovani, altri molto vecchi, forse secolari. Qui durante la fioritura di queste settimane offrono il meglio del loro profumo. Per un paio di settimane infatti il profumo denso dei tigli in fiore si inoltra anche nelle strette vie cittadine e porta, direttamente in casa, il saluto di inizio estate. Lo percepisco bene al mattino aprendo le finestre. Ma qui, sotto gli alberi, di sera c’è il massimo.
Tuttavia quest’anno c’è stata un’anomalia e improvvisamente il profumato regalo del mattino non è più stato recapitato. Al secondo giorno di assenza ho voluto verificare la causa. I fiori dei tigli erano in terra, misti a foglie e rami. Formavano un viscido tappeto che esigeva attenzione a camminarci sopra per il pericolo di scivolare. Inoltre era già maleodorante perché i fiori dal delicato profumo stavano marcendo. Il violento temporale di due giorni prima ha rovinato tutto. Non è un gran danno poiché le piante sono soltanto ornamentali; i danni veri li hanno contati nelle coltivazioni. Tuttavia c’è stato motivo per rattristarsi e materia per riflettere. Il temporale lo ricordo bene: benché preannunciato dalle previsioni, è arrivato all’improvviso ed è stato breve, intenso, violento per la quantità di pioggia caduta in pochi minuti, la grandine e il vento. Rientrato in casa, ero atteso dal libro che sto leggendo in questo periodo. Avvicinandoci al centenario della morte di papa Pio X, il 20 agosto, e contemporaneamente al centenario dell’inizio della guerra 1914–18, ho voluto affrontare una lunga e seria biografia di quel Papa, nostro conterraneo. Ho cominciato dalla fine del libro che documenta le ultime settimane di vita di papa Sarto, intimamente connesse con lo scoppio del conflitto mondiale; poi sono ripartito ordinatamente dalle prime pagine. Ero arrivato agli anni di Salzano dove don Giuseppe Sarto è stato parroco per nove anni. Si parlava quasi unicamente della povertà o piuttosto della miseria del Veneto in quel periodo. La mortalità infantile, le malattie endemiche, l’analfabetismo, le disparità sociali, le vessazioni fiscali del governo asburgico, le miserabili condizioni delle abitazioni sono documentate in modo impressionante. La mia attenzione si è fermata soprattutto su due fenomeni: l’emigrazione verso l’America e la mendicità. Il Veneto, al momento dell’annessione all’Italia nel 1866, forniva il numero più alto di accattoni censiti nel Regno. Erano diventati un grande problema umano, sociale e morale.
Eppure non era sempre stato così. Alle spalle c’erano le glorie della Repubblica di Venezia; nel mondo si stava entrando nella seconda rivoluzione industriale. Lo stesso parroco Sarto contribuì, con un amico ebreo, a fondare una filanda per dare lavoro a duecento ragazze.
Emigrazione e accattonaggio: il ricordo e le lezioni del passato non potrebbero aiutarci ad impostare meglio questi problemi nell’oggi? Siamo stati recentemente terra di forte immigrazione, qualche decina di profughi trova anche oggi ospitalità, più o meno forzata, da noi e i mendicanti sono ritornati una presenza immancabile in tutte le nostre città. C’è chi pensa di risolvere i problemi con l’esclusione e l’espulsione e con queste promesse e qualche provvedimento spettacolare guadagna voti alle elezioni.
E i tigli cosa c’entrano? Da loro viene la lezione che le sorti possono rovesciarsi all’improvviso, che niente è assicurato per sempre ed un benessere consolidato può essere messo in crisi improvvisamente. Per gli alberi è bastato un temporale estivo; contro di noi lavorano responsabilità vicine e lontane. Perfino economisti studiati nelle università insegnano l’umiltà. Uno di loro, assai noto, con linguaggio efficace, ci ricorda che sui nostri occhi è steso il velo dell’ignoranza: non sappiamo se domani ci troveremo all’ultimo posto nella scala sociale. Questo dovrebbe impegnarci a programmare le cose, immaginandoci in quell’ultimo posto nel quale nessuno vorrebbe scendere e che tuttavia nessuno può escludere del tutto per il futuro.
Dopo gli intervalli per queste considerazioni piuttosto amare, ho continuato la lettura del libro che ha la capacità di rubarmi anche ore di sonno, tanto lo trovo avvincente.
Dopo la descrizione della difficile situazione delle campagne venete, racconta la carità del futuro Papa. Accenna velocemente al parroco che dona le proprie camicie agli ammalati, facendo disperare le sorelle, o la propria pentola con il desinare di quel giorno particolare. Si dilunga invece sull’opera più profonda ed intelligente che si riassume in una sola parola: scuola! Giuseppe Sarto vede come unica, vera soluzione l’istruzione. Lui stesso fonda scuole serali, ma soprattutto stimola le pubbliche autorità affinché si impegnino su questo versante. Le parole più insistenti e dure le riserva ai genitori: «Mandate i vostri figli a scuola!». I nostri studenti passano ogni giorno sotto i vecchi tigli che non attirano il loro interesse. Questo si sveglia solo ad una certa età, quando si cammina più lentamente.

Leggi "Don Luigi Del Favero" della settimana scorsa.

Copyright © 2000-2019 L'Amico del Popolo S.r.l.
Piazza Piloni 11, 32100 Belluno - tel. +39 0437 940641, fax +39 0437 940661, email redazione@amicodelpopolo.it | P.Iva/C.F. 00664920253