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A me che importa?

di Luigi Del Favero

Papa Francesco inizia a parlare e nel grande piazzale antistante il sacrario di Redipuglia cala un impressionante silenzio. La pioggia battente e fredda che è scesa incessante durante la notte e il mattino, rendendo più faticoso l’arrivo di migliaia di persone, prima rallenta e poi smette completamente, permettendo a qualche raggio di sole di illuminare un giorno importante.
Già dall’inizio della Messa il raccoglimento del Papa si è come trasmesso ai partecipanti, ottenendo il ’miracolo’ che accade quando tanta gente radunata insieme sta in silenzio: nessun applauso, nessun grido, nessuna voce stonata.
Quando parla il Papa l’effetto si moltiplica. La sua voce è forte e sicura; l’entrata nell’argomento è diretta: chi ascolta ha la sensazione che stia per dire cose importanti.
In effetti egli afferma di avere solo una cosa da dire: «La guerra è una follia».
Spazza via subito tutte le distinzioni tra guerra giusta e ingiusta, guerra di difesa e di aggressione, guerra totale e guerra convenzionale: c’è unicamente la guerra e di questa lui tratta. Non c’è la minima concessione alla rievocazione storica e nessuno spazio alla retorica della patria, dell’onore e del dovere. Certamente è venuto nel più grande sacrario militare d’Italia e non dimentica i Caduti per i quali c’è un’immensa pietà e tanta preghiera.
Aiutato dal raccoglimento generale, seguo il discorso del Papa, che sarà breve; dopo aver ascoltato le prime frasi dico a me stesso che questo intervento entrerà nella storia, mettendosi in fila con tutti gli interventi dei Papi che nell’ultimo secolo hanno condannato la guerra e invocato la pace. Si può dire ancora qualcosa di nuovo? È nuova la passione, è nuova la forza con cui le parole sono scandite e la durezza della condanna totale che non lascia spazio ad alcuna giustificazione della guerra.
Fa impressione sentire Bergoglio scandire, dopo poche settimane, l’affermazione che oggi siamo entrati nella terza guerra mondiale «combattuta a pezzi». Tutto in noi si ribella, nega tale verità e si guarda attorno per dire che nella nostra Italia e in Europa non c’è guerra e non ci potrà più essere.
Ma è la miopia con cui sono già iniziate due guerre mondiali!
Le parole del Papa obbligano ad andare avanti, senza dare troppo spazio ai confronti storici e alle considerazioni generali.
Ora formula una frase che ripeterà per ben dieci volte in pochi minuti: «A me che importa?»
Sta scavando alla ricerca della radice della guerra, fino a trovare il punto da dove essa parte. È la parola di Caino che, interrogato da Dio sulla sorte del fratello, dice di non esserne il custode: «A me che importa?». L’indifferenza verso gli altri, la chiusura in se stessi, la concentrazione su di sé, la sordità e la cecità verso i fratelli e le sofferenze a loro inflitte sono la radice di ogni conflitto.
Sono obbligato a pensare a me stesso, a rintracciare nel mio cuore le ramificazioni di questo cancro, a cercare come nel mio ambiente il seme mai distrutto della guerra stia nuovamente mettendo germogli.
Il Papa nomina alcune responsabilità specifiche. Ci vuole tutto il coraggio di Bergoglio a chiamarle per nome: «Anche oggi dietro le quinte ci sono interessi, piani geopolitici, avidità di denaro e di potere e c’è l’industria delle armi che sembra tanto importante! E questi pianificatori del terrore, questi organizzatori dello scontro, come pure gli imprenditori delle armi, hanno scritto nel cuore: A me che importa?».
Questa domanda lui la vorrebbe all’ingresso di tutti i cimiteri militari del mondo. Provoca un brivido la durezza con cui lacera la verità delle cose e sostiene che questa è l’unica notizia che andrebbe scritta sulle prime pagine dei giornali: «A me che importa?».
Eppure io sono ricondotto a me stesso, al mio cuore, ai semi di guerra che lascio svilupparsi in me.
Quando Francesco mostra il rimedio nel pianto, nel recupero della capacità perduta di piangere per il dolore degli altri, il pianto sta per sgorgare davvero dal cuore e dagli occhi. Si ferma in una profonda commozione che forse non conosciamo più. Questo ci fa molto male, perché ci indurisce.
Adesso il Papa è ritornato al suo posto e il silenzio – se possibile – è ancora più grande. Sollevo gli occhi verso il grande Crocifisso che è alle sue spalle e mormoro una preghiera: «Signore, grazie per questo Papa, grazie per averci dato Francesco. Custodiscilo per la Chiesa e per il mondo. E aiutaci ad ascoltarlo e seguirlo. Liberaci da ogni divisione e insegnaci a fidarci di colui che ci hai donato».
Alla fine della Messa avrò occasione di un veloce incontro personale con il Papa, ricevendo dalle sue mani la lampada della pace che egli consegna a ogni diocesi. La ritiro per la nostra diocesi di Belluno–Feltre che sono stato mandato a rappresentare. Da parte sua uno sguardo buono e intenso; io so mormorare solo una parola: «Grazie!». Non pensavo alla lampada, ma a lui stesso.

Leggi "Don Luigi Del Favero" della settimana scorsa.

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