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La Nazionale brasiliana

di Luigi Del Favero

Questa domenica a me tocca la Messa di buon mattino in una chiesa centrale di Belluno. Data l’ora, penso di incontrare prevalentemente persone anziane e non ne attendo neppure tante. Con grande meraviglia, quando giungo all’altare scopro che alcuni banchi sono occupati da giovani che riempiono un settore e arricchiscono l’assemblea con tanto colore. Sono atleti nelle loro tute sportive e dai colori indovino subito che si tratta di brasiliani: il giallo–oro e il verde non mentiscono mai. Mi accorgo presto che sono alti di statura, specialmente le ragazze. Me ne renderò conto soprattutto al momento della Comunione quando per porgere l’ostia consacrata dovrò sollevare assai il braccio, mentre loro si piegheranno verso di me. Al termine della Messa mi spiegheranno che fanno parte della Nazionale femminile brasiliana di pallavolo. Ci sono pure allenatori e dirigenti; sono tutti ospiti in un albergo cittadino.
La partecipazione alla liturgia è esemplare, caratteristica di gente che in chiesa si sente a casa propria. Percepisco una vivacità alla quale non siamo abituati solo al momento dello scambio della pace. Io invece mi rammarico durante tutto il tempo perché al mio posto non c’è uno dei colleghi che avendo vissuto per decenni in Brasile sarebbe capace di mettersi sulla lunghezza d’onda di questi amici. Non penso solo alla lingua portoghese nella quale potrebbe rivolgersi loro, ma a quella sintonia più profonda che permette di entrare nell’anima di fratelli e sorelle con i quali condividiamo la fede, esprimendola però con modalità e intensità diverse.
Faccio del mio meglio e al termine della Messa li saluto con la contenuta cordialità di cui sono capace, ma con tanta gioia. Mi pare che il messaggio sia arrivato a destinazione, arricchito dalla condivisione di tutti i presenti.
Fuori di chiesa si fermano nel prezioso sole del mattino ‐ prezioso perché così raro ‐ e ci sono tante foto di tutto il gruppo con lo sfondo della chiesa e della piazza. È vero: in Brasile si trova la gente più bella del mondo. Io me ne vado con il buon contagio dell’allegria e della gioia.
C’è chi si incarica di rubarmela immediatamente e sono i miei stessi pensieri che girano tutti attorno ad un confronto: «Questi, venuti da lontano, pur impegnati in un campionato esigente, mettono la Messa nel programma della densa giornata domenicale; i nostri invece... Per noi ormai tutte le scuse sono buone per tralasciare la preghiera e forse non pensiamo più che la domenica riceve il proprio nome dal fatto di essere il giorno del Signore».
Il giorno precedente ero stato premunito contro tale tristezza, frutto del confronto, da una parola nuova di papa Francesco. L’aveva detta ai nuovi vescovi, ma vale per tutti noi fedeli della vecchia cristianità europea: «Vi prego di non lasciarvi illudere dalla tentazione di cambiare il popolo. Amate il popolo che Dio vi ha dato, anche quando loro avranno commesso grandi peccati, senza stancarvi di salire dal Signore per ottenere perdono e un nuovo inizio, anche al prezzo di veder cancellate tante vostre false immagini del volto divino o le fantasie che avete alimentato circa il modo di alimentare la comunione con Dio».
Se non amo i miei contemporanei, se non sto bene nel mio tempo e se non mi trovo a casa con la mia gente devo abbandonare il mio ministero: sarebbe sterile!
Io stesso devo guardarmi dalla tentazione di voler cambiare il popolo. Posso aver nutrito false immagini o – peggio – fantasie sul modo di essere religiosi oggi, qui da noi. Se insisto a pensare che la strada debba essere quella dell’obbligo e della tradizione, senza mettere in conto il vivo senso di libertà dell’uomo occidentale andrò incontro a molte delusioni e non sarò di aiuto agli altri.
È un cedimento allo spirito del mondo? È adattamento rinunciatario ai tempi?
No, è solo la fede che ha accettato la purificazione prodotta dal duro confronto con la modernità.
Dio ama noi che abitiamo in questa terra, conosce e ama la nostra terra e continua a benedirla.
Ci domanda solo di aprirci e di diventare accoglienti. Per aiutare gli altri, ma anche per ricevere dagli altri. Questo ci costa molto perché esige l’abbattimento dell’autosufficienza e di quel sottile sentimento di superiorità su altre culture che ci fa tanto male. Chi giunge da lontano ce lo fa notare perché lo vede e lo sente subito. E magari come papa Francesco, venuto dalla fine del mondo, ci dice che l’Europa è stanca.
La Nazionale femminile brasiliana presente alla Messa domenicale ci dà molto solo perché c’è e porta in chiesa giovinezza, entusiasmo e fede. Avevo notato un giovane del gruppo, in divisa e con la scritta ’Brasil’ sulla schiena, che si era trattenuto in ginocchio in chiesa e aveva estratto la corona del Rosario. Io lo faccio raramente perché "non ho tempo".
Nella liturgia avevamo ascoltato: «Soltanto comportatevi da cittadini degni del Vangelo». Abbiamo dimenticato come si fa e i brasiliani o gli africani o gli indiani o gli albanesi possono insegnarcelo affinché si realizzi quel nuovo inizio che il Papa ha messo davanti ai vescovi (e a tutti noi) con grande speranza.

Leggi "Don Luigi Del Favero" della settimana scorsa.

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