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Un salto culturale per servizi migliori

C’è bisogno di ripensare gli interventi sociali per calibrarli sui reali problemi dei cittadini e sulle reali possibilità dei territori in cui vivono e non soltanto per ridurre ed eliminare gli sprechi.
La riforma del Terzo settore che sta per intraprendere il suo percorso legislativo potrebbe essere l’occasione per promuovere la creazione di servizi innovativi, capaci di incidere in modo più efficace sulla qualità della vita delle persone.
Per esempio, oltre all’erogazione di un servizio per le persone in stato di necessità, è importante riuscire a spezzare la catena di isolamento che lega loro e le loro famiglie (tanto più facilmente in realtà "disperse" come quelle della montagna).
Ci sono però due aspetti da tenere presenti: uno riguarda il carattere universale delle misure per tutti i cittadini che hanno lo stesso problema e ai quali dovrebbero essere assicurati pari livelli di assistenza; l’altro riguarda la specificità di ogni persona e quindi la possibilità di renderla protagonista, pensarla come una risorsa con capacità particolari che dovrebbero essere valorizzate dentro la situazione in cui si trova.
Per migliorare la qualità dei servizi è richiesto un salto culturale che implica il coinvolgimento a tutto campo dei molteplici soggetti che entrano nel processo produttivo: amministrazione pubblica, imprese private, associazioni e cooperative, famiglie e singoli cittadini.
Come ha espresso con chiarezza l’economista Stefano Zamagni, è necessario iniziare a pensare a una sussidiarietà circolare che integri la sussidiarietà verticale, che privilegi il soggetto sociale più vicino al cittadino rispetto a quello più lontano, e la sussidiarietà orizzontale, che richiede la costruzione di reti collaborative tra i soggetti sociali più prossimi. La sussidiarietà circolare aggiunge l’attenzione alla partecipazione dei cittadini che non sono più considerati semplici utenti o clienti, ma protagonisti attivi di un intervento.
La sfida insomma è quella di promuovere nuove relazioni, di coniugare la solidarietà (che vuole rispondere ai bisogni) e l’innovazione (che cerca di farlo nel modo più efficace e produttivo) all’interno di alleanze che valorizzino le persone.
A questo proposito si parla anche di co–produzione, cioè di coinvolgere tutti nelle attività che portano alla concretizzazione di un servizio: la progettazione, la pianificazione, il finanziamento, la gestione, l’erogazione.
Il salto culturale è forte perché agli operatori dei servizi è chiesto di essere anche dei coordinatori e catalizzatori di risorse e di relazioni, come alle persone è chiesta una grande maturazione civica, con la disponibilità a mettersi in gioco e a portare il proprio contributo.
Con questi presupposti è possibile immaginare la costruzione di un benessere partecipato che tenga presenti le qualità peculiari dei territori, oltre che dei cittadini, evitando sterili azioni calate dall’alto. Una "ricetta" che non vale solo per i servizi sociali, ma per ogni ambito.

Leggi il "fondo" della settimana scorsa.

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