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Il popolo del mattino

di Luigi Del Favero

Del popolo della notte si parla spesso, abitualmente con sospetto perché è un popolo chiassoso, poco educato, incline alla trasgressione. Così diventa fonte di preoccupazione per residenti dei centri abitati, forze dell’ordine, amministratori. Non sembra un popolo felice anche se spende molti soldi e per questo viene blandito e temuto.
Del popolo del giorno interessano i numeri: quanti usano l’automobile e quanti si servono dei mezzi pubblici? Quanti sono entrati al supermercato? Quanto era lunga la fila alle Poste? Quanto tempo di attesa al Pronto soccorso o in stazione dove i treni arrivano in ritardo? Quello che si muove di giorno è un popolo descritto con cifre e percentuali.
C’è anche il popolo del mattino di cui non si parla quasi mai. Fotografarlo solo con l’immagine di gente che ha fretta non convince. Dovendo cercare una caratteristica comune che appartiene a quelli che si muovono nelle prime ore del mattino direi così: è gente che si saluta! L’esperienza prolungata me ne dà la certezza.
Uscire di casa per compiere ogni giorno lo stesso tragitto è immergersi in un mondo noto, certamente attivo, ma familiare e amico. Non si vuole perdere tempo e realmente non si ha tempo da spendere, eppure ci si riconosce, si distribuisce volentieri il saluto e, dopo un po’, si cercano alcune presenze. Conosco per nome poche persone, ma ne riconosco molte e indovino facilmente l’identità degli sconosciuti che pure si incontrano per le vie cittadine.
I più fedeli sono gli operatori ecologici, molto mattinieri e fissi al posto e alla mansione loro assegnati: garantiscono l’invidiabile pulizia della nostra città che potrebbe insegnare molto a città più grandi ed anche a paesi più piccoli.
Poi ci sono quelli che vanno al lavoro: il giornalaio che apre l’edicola, il farmacista che raggiunge la farmacia, il macellaio che scarica la merce, i fruttivendoli che hanno già allestito i propri banchi, i baristi che riordinano i locali. Molti altri attraversano vie e piazze, ma sono evidentemente chiamati ad altre destinazioni. Ci sono i fedeli che cercano le chiese per le Messe del mattino, i primi studenti con gli zaini pesanti, gli occhi assonnati e poca voglia di parlare. Qualcuno porta con sé dei bambini, anche molto piccoli: ci sono nonni che li attendono o asili nido che aprono presto per accoglierli.
C’è chi si affretta verso il panificio perché predilige il pane fresco; altri cercano le notizie fresche dei giornali e si fermano a commentarle ad alta voce.
Potrei continuare per essere completo, ma mi allontanerai dalla descrizione del tratto comune a tutta questa gente. L’ho già indicato nel saluto facile che ci si scambia.
Per la verità i primi saluti li riceviamo da altre creature.
Percorrendo le vie del centro storico il "buon mattino" lo si riceve dal profumo del pane che ad ondate ci investe: non è mai vecchio ed è sempre buono. Nei mesi estivi c’è stato il saluto vivacissimo delle innumerevoli rondini che hanno nidificato sotto i portici della città. Ora ci mancano e non si è ricompensati della loro assenza neppure dal piccolo piacere di trovare i marciapiedi più puliti.
La vera differenza viene però dal saluto tra la gente. Spesso veloce, talvolta limitato ad un cenno, altre volte più aperto e unito all’augurio per la giornata che inizia: negli ultimi mesi abbiamo augurato tante volte il sole, scambiandoci previsioni scontate. Gli africani che incontro sulla mia strada abituale sono diminuiti di numero, ma non scomparsi. Più che dal colore, ora li riconosco dal sorriso aperto e dalla familiarità con cui mi salutano chiamandomi «padre». Un giovane con lo zaino da muratore e lo sguardo buono, camminava con il rosario in mano. Da qualche tempo non lo incontro più.
Con il passare delle ore, il saluto diventa rarefatto e poi muore. Si entra nell’anonimato e nell’estraneità. Eppure quel saluto è così buono e benefico! Sveglia la nostalgia o fa nascere il desiderio di una convivenza diversa da quella che abbiamo costruito. Fa sentire il bisogno di cose essenziali: la fiducia reciproca, il riconoscimento, il rispetto, la gratitudine per il servizio che riceviamo da tanti che lavorano per pulire le strade, preparare il pane, portare il latte, allestire il mercato...
Non siamo fatti per stare soli e abbiamo bisogno gli uni degli altri, ma senza la diffidenza che ci fa tanto male.
Sono stato attento a non usare la parola ’amicizia’ perché non pretendo che gli incontri del mattino facciano sorgere delle amicizie. Queste sono altra cosa e nascono per altre vie e non possono neppure essere numerose.
Cordialità e vicinanza, rispetto e collaborazione, riconoscimento e parola buona sono però ingredienti importanti per una convivenza serena.
Il saluto che non costa niente, mantiene freschi questi prodotti buoni.

Leggi "Don Luigi Del Favero" della settimana scorsa.

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