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Di chi avere paura?

di Luigi Del Favero

Quanto accadde una sera famosa di novembre all’osteria della ’Luna piena’ rimane fisso davanti agli occhi. Era stato il giorno della rivoluzione del pane a Milano e il promesso sposo Renzo, diventato suo malgrado un protagonista degli avvenimenti, lasciò che a parlare fosse il vino che aveva mandato giù. Manzoni adopera l’arte che sa ben maneggiare, aggiungendo tanta ironia e un pizzico di pietà umana, nel descrivere i discorsi ’da osteria’ di quegli avventori surriscaldati che si immaginano legislatori incaricati di risolvere il problema del pane che manca. Pensano alla furbizia dei fornai e alla disonestà dei governanti e propongono ricette facili, contenute in decreti di poche righe, molto chiare, capaci di risolvere la domanda essenziale di pane di una città che ha fame. Si dimenticano che c’è una carestia che nessuno sa come affrontare.
Il Manzoni sorride amaramente e guarda verso di noi per avvertirci sulla voglia che ci prende di tanto in tanto di avere in mano il potere di risolvere con semplicità problemi complicati.
Oggi dovrebbe guardare oltre che nelle osterie di paese, anche nei salotti buoni e leggere tanti editoriali di giornali molto seri e troverebbe una folla di candidati, pronti a dare le risposte che nessuno dei responsabili sa trovare.
Mi sento guardato anch’io e perciò sto in guardia; vorrei reprimere un desiderio che nutro da tempo e che espongo a rischio di mettermi in compagnia di Renzo e dei suoi compagni della ’Luna piena’. Mi piacerebbe poter parlare a una serie di amministratori, di responsabili pubblici, di giudici e specialmente di dirigenti scolastici. Vorrei trattare con loro dei simboli cristiani che si vogliono eliminare per non offendere chi non crede e per non discriminare quelli di altre religioni che vivono in mezzo a noi. Tra poco il tema tornerà di attualità con la discussione sul presepio a scuola o nell’atrio dell’ospedale. Gli "altri" ai quali non si vuole mancare di rispetto sono perlopiù islamici. C’è anche qualche presenza induista e forse buddista. Gli atei ’classici’ di casa nostra, essendo abitualmente seri, conoscono gli spazi di libertà che la nostra società concede, distinguono tra ciò che è cultura e ciò che è religione e non si creano inutili problemi.
Ecco la mia umile ricetta, che io però ritengo importante e vera: «Gli altri non temono la nostra religione, ma il nostro ateismo; non combattono la nostra morale, ma il nostro relativismo».
Bisogna fare un passo indietro e considerare come le religioni siano diventate un potente ingrediente dell’identità di un popolo. È sembrato per un po’ che la religione fosse diventata una fatto privato, da vivere di nascosto. Invece, tramontate le ideologie del ’900, sfiorita anche la fiducia illimitata nella scienza che risolve tutti i problemi e svela tutti i segreti, le religioni sono come risorte con la loro capacità di tenere unito un popolo. Se noi ci presentiamo agli altri con la nostra identità è possibile dialogare, confrontarsi, rispettarsi. Il punto da cui partire non è difficile: basta l’arte, la presenza delle chiese, l’esistenza delle tradizioni, l’uso dei nomi. Il presepio e il crocifisso possiedono un linguaggio universale: ai credenti parlano di un Dio che ci ha amato fino a discendere tra noi e condividere con noi tutto, anche la morte; agli "altri" parlano di valori di pace, di bontà, di giustizia; raccontano la storia perenne di poveri che chiedono solidarietà e del dolore innocente che vuole redenzione.
Penso agli islamici: quando constatano che viviamo senza Dio, che bestemmiamo il suo nome, che disprezziamo o anche solo ignoriamo la nostra fede, che non teniamo in nessun conto la legge morale, prendono paura, si chiudono, si contrappongono, possono prendere la strada del fondamentalismo. Nella festa dei Santi ascoltavo il concerto che da un campanile rispondeva all’altro campanile delle nostre vallate, ma con il sottofondo di tante motoseghe. Cosa pensa di noi un induista o un mussulmano abituato al rigoroso rispetto dei giorni sacri? E la banalizzazione della sessualità ostentata in ogni modo non avrà come contropartita una chiusura in una moralità angusta che nega libertà fondamentali?
Oggi, 9 novembre, tutti rievocano il miracolo di 25 anni fa. Noi l’abbiamo visto in diretta televisiva, increduli per quanto stava accadendo: il temuto muro di Berlino crollava, senza un colpo di cannone o di fucile. Pochi giorni dopo la Germania veniva riunificata e l’Europa si ritrovava come guarita da una ferita che l’aveva spaccata per decenni. Quanto abbiamo sognato quel giorno! Oggi dobbiamo constatare che buona parte di quel sogno si è infranta. Con le pietre del muro non si sono costruiti ponti, ma si sono innalzati altri muri a segnalare disuguaglianze insopportabili o marcare nuovi confini. Non si sono volute riconoscere le radici spirituali cristiane dell’Europa; in qualche caso sono state tenacemente negate. E l’Europa è invecchiata demograficamente e spiritualmente. Si è anche impoverita materialmente e minaccia di dividersi di nuovo, frammentandosi.
Ma adesso il Manzoni che ha scritto il capitolo sulla famosa osteria mi ferma perché sto dicendo cose più grandi di me. Mi resta la lucidità di chiedere a chi deve prendere decisioni: «Ricordatevi che nascondere o negare i segni religiosi non è segno di progresso, ma di retroguardia culturale. Gli ’altri’ non si contrappongono alla religione, ma all’ateismo».

Leggi "Don Luigi Del Favero" della settimana scorsa.

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