L’Amico del Popolo.it
Info | YouTube

Natale 1914

di Luigi Del Favero

Da anni la preparazione della predica della Messa della Notte di Natale è diventata un impegno serio. Dico a me stesso: «La Notte di Natale diventerò un po’ missionario perché non dovrò parlare solo alla comunità che si raduna fedelmente per l’Eucaristia domenicale, ma a un numero più grande di persone che giungeranno in chiesa con motivazioni diverse: la tradizione, la nostalgia, il legame familiare, la consuetudine, la curiosità, la ricerca di una consolazione introvabile altrove, la speranza o il presentimento di un incontro. Per qualcuno si tratterà del ritorno in una chiesa dopo un anno. Dovrò far percepire a tutti che sono i benvenuti, che Qualcuno li attende senza domandare conto di dove sono stati per un anno intero e che accogliendo quel Qualcuno la vita può cambiare». Col passare degli anni ho capito che a Natale devo predicare solo il Vangelo. E finalmente ho aperto occhi e cuore: l’annuncio non tocca a me e il mio ruolo è solo quello di una voce che non si sovrappone, ma piuttosto fa strada alla proclamazione del buon annuncio già dato a Betlemme e portato in terra dagli angeli: «Vi annuncio una grande gioia che sarà per tutto il popolo: oggi è nato per voi il Salvatore». La preparazione della predica ha cessato di essere un impegno gravoso perché dovrò essere molto semplice ed essenziale, ridimensionando molto quello che dovrò fare e dire io. Posso affermare che quella predica è diventata un momento di gioia, proprio quella che accompagna alcune occasioni in cui un prete, dopo aver letto il vangelo della Natività, dice a se stesso: «Se fossi diventato prete anche solo offrendo la mia voce per far sentire questo vangelo, ne valeva la pena».
Per il Natale vicino ho già pensato di fare un piccolo furto, rubando il bellissimo racconto che don Ezio ha pubblicato sul suo giornale parrocchiale. Narra un incontro nel fango delle trincee della grande guerra. Dei soldati che si combattono su fronti opposti, si ritrovano avventurosamente insieme a pregare, cantando ognuno nella propria lingua e finendo con l’abbracciarsi. Negando così l’inimicizia della guerra.
Rubare proprio a Natale? Non sarebbe una cosa bella e non sarebbe leale presentare come mia la scoperta di un altro. Almeno devo pagarla documentandomi sulla verità storica sottesa a quel racconto. Non è stato difficile poiché nelle letture di questo periodo ho inserito alcuni libri sulla guerra 1914–18, per dare una base alla celebrazione del centenario. In un’opera collettiva inglese, molto seria e meticolosa, lo storico ha annotato in modo asciutto: «Il Natale 1914 fu contrassegnato da una tregua spontanea, non dichiarata, nelle Fiandre, dove i soldati inglesi e tedeschi fraternizzarono nella terra di nessuno, scattando fotografie, scambiandosi piccoli doni e giocando persino a pallone». La notizia della partita a pallone mi ha incuriosito e spinto a cercare conferme. Ho scoperto che su questo episodio sono stati scritti interi libri ed è stato perfino fatto un film con tale soggetto. I commenti lo definiscono bellissimo e più volte premiato.
Dunque l’episodio è vero. Nel fango e nel ghiaccio della terra del Belgio, presso la città di Ypres che aveva visto una delle prime crudelissime battaglie di quella guerra, gli avversari hanno vissuto un Natale di pace. La descrizione narra di una preghiera fatta insieme, della sepoltura dei compagni rimasti dolorosamente insepolti sul terreno, della condivisione di quanto quegli uomini già stremati avevano da scambiarsi e della famosa partita al pallone, su iniziativa degli scozzesi.
È una dimostrazione commuovente della forza del Natale e della vitalità del suo messaggio capace di sfondare muri solidissimi e di sciogliere il ghiaccio più duro; sa parlare a tutti e possiede il segreto per condurci su una strada che porta al di là delle barriere facendoci ritrovare fratelli.
Devo però completare la citazione del libro inglese già riportato: «Un irrigidimento dei comportamenti, che andò di pari passo all’evoluzione della guerra in un fenomeno sempre più sanguinoso e impersonale, fece sì che eventi di tali dimensioni (la famosa partita natalizia di calcio) non si ripetessero più, ma accordi del tipo: ’Vivi e lascia vivere’, accettati da ambedue le parti, prevalsero di frequente in settori tranquilli del fronte, fino all’armistizio».
Nel 1914 non potevano nemmeno lontanamente immaginare che ci sarebbero stati altri quattro tristissimi anni di guerra. Del resto, documentano i testi che ho trovato, neppure in quel primo Natale i "superiori" gradirono che le truppe fraternizzassero tra loro. Volevano che diventassero e si sentissero solo nemici, con tutta la logica del nemico: non confrontarsi con l’avversario, ma distruggerlo e annientarlo.
Dopo cent’anni il virus dell’inimicizia, mai vinto, ha ripreso vitalità. In troppi settori della società si vive da nemici che vogliono l’annientamento dell’altro. Si scarica contro gli immigrati e gli stranieri. È entrato nelle famiglie e fa sì che proprio a Natale gli ex–coniugi si facciano del male più che in altri tempi dell’anno.
È un virus che non risparmia neppure la Chiesa dove riusciamo a farci soffrire con l’incomunicabilità, la denuncia, il ricorso ai giornali, gli attacchi senza risparmio che dividono le comunità, magari con il pretesto di fare giustizia o di avere la Messa di mezzanotte!
Lo spirito di Betlemme ci contagi come ha contagiato i combattenti del tristemente famoso fronte occidentale, illuminandolo con un luce che non si è mai più spenta.

Leggi "Don Luigi Del Favero" della settimana scorsa.

Copyright © 2000-2019 L'Amico del Popolo S.r.l.
Piazza Piloni 11, 32100 Belluno - tel. +39 0437 940641, fax +39 0437 940661, email redazione@amicodelpopolo.it | P.Iva/C.F. 00664920253