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La fiducia

di Luigi Del Favero

La nostra felicità è tanto fragile! Non occorre che accada un terremoto o che un vulcano si svegli sopra di noi o che un’inondazione ci obblighi a fuggire dalla nostra terra. Basta molto meno per minare e avvelenare la felicità che teniamo stretta. Uno dei nemici più insidiosi è il sentire vicino il fondo e prossima la fine di ciò che ci attirava e riempiva di significato e bellezza la nostra vita.
Occorre fare degli esempi? Di sicuro non mancano e alcuni li conosciamo bene.
Il dramma delle separazioni coniugali che sconvolgono una famiglia con la devastazione di un terremoto.
La fine di un lavoro o di un incarico con il vuoto che minaccia le giornate che verranno.
Il logoramento di un ruolo che aveva riempito tante stagioni della vita.
La paura per la precarietà economica sempre in agguato e pronta a ridimensionare un benessere che pareva sicuro.
L’impallidire di un’amicizia che si pensava indistruttibile.
Al fondo c’è la delusione perché ogni cosa giunge così presto al termine, privandoci di quello che amiamo. La vita stessa è minacciata dalla morte che cammina inesorabilmente verso di noi: il tramonto giunge sempre troppo presto.
Per lenire queste riflessioni dolenti e sopportare sentimenti che possono devastare, oggi si sono attrezzati gli psicologi con i quali ci stiamo familiarizzando: non li temiamo più come facevamo un tempo, negando risolutamente di averne bisogno «perché io non sono matto».
Si legge nella vita del vescovo martire Oscar Romero che ogni settimana passava all’Università per il colloquio con uno psicologo che lo aiutava a gestire le emozioni forti che accompagnavano la sua vita piena di tensioni e sempre minacciata.
Tuttavia quando la delusione scava in profondità e induce alla rinuncia, insegna ad essere diffidenti e semina la sfiducia generalizzata, per molti di noi anche l’accompagnamento dello psicologo non è più sufficiente. Inizia allora la ricerca di una sorgente nascosta, sulla quale probabilmente sono caduti dei detriti che vanno rimossi delicatamente, per ritrovare un’acqua da incanalare e portare nel campo della nostra esistenza diventata terra deserta, arida e senz’acqua.
La grazia di questi momenti è la certezza della sorgente: essa giustifica lo sforzo della ricerca che riparte a qualsiasi età e in qualsiasi situazione.
Un giorno, il sole che rinasce per una nuova giornata porta un messaggio:
«Rinasce ancora la luce,
ritorna limpida e pronta la mente,
la gioia dell’agire si ridesta».
Sono parole antiche di sant’Ambrogio ancora vive nella liturgia della Chiesa.
Recapitato al credente, il messaggio mobilita la fiducia che ritorna. Il credente non ritiene di sapere quale sia il suo destino, non si sente privilegiato rispetto a tutti gli altri uomini, né dispensato dal dolore e dalla fatica della ricerca. Ma sa che un Altro ‐ Dio stesso ‐ possiede la chiave del suo destino; solamente Lui lo conosce; credere è attendere pazientemente il giorno sicuro in cui Dio glielo decifrerà.
Riusciamo allora a dare il nome preciso al male che ci tormenta in questa fase dell’esistenza: vorremmo bruciare le tappe, vorremmo essere già arrivati; siamo insofferenti di essere ancora in cammino verso qualcosa di nuovo, di sconosciuto, di bello. Anche se non ho più il lavoro di prima, né il ruolo che mi dava sicurezza, né le forze di una volta, né gli amici di cui mi era cara la compagnia.
La fede diventa la forza di camminare attraversando un ponte: vedo dove poggia l’arcata di partenza, mentre quella di arrivo mi rimane invisibile.
E tutto questo quale cambiamento concreto può portare in giornate minacciata dalla tristezza e dalla delusione?
Non distolgo lo sguardo dal dovere che in questo momento mi è imposto e cerco di svolgere alla perfezione anche l’opera più piccola che ora mi è richiesta.
Ho in mano una penna per scrivere oppure una zappa per coltivare il giardino o un pennello per dipingere come non ho mai fatto o un ago per ricamare? Mi sto finalmente dedicando ad un libro che avevo dimenticato o coltivo un pensiero rimandato indietro perché non invadesse occupazioni urgenti? Ho permesso al mio cuore di apprendere il linguaggio dei sentimenti di tenerezza, di vicinanza, di compassione, di fraternità?
Allora sono sulla buona strada poiché Colui che tiene in mano le chiavi della mia piena realizzazione come essere umano adesso può agire e mostrarmi d’un colpo dove è la mèta alla quale tendevo e che finalmente si rivela in cose umanissime, piccole forse agli occhi del mondo, ma preziose.
Basta che non mi arrenda e che continui a camminare in cerca della sorgente. Basta che abbia ancora fiducia per l’oggi che inizia all’alba di ogni nuovo giorno.

Leggi "Don Luigi Del Favero" della settimana scorsa.

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