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Nel caso di Sappada la montagna malata

Il 27 gennaio la commissione Bilancio del Senato ha espresso parere favorevole al disegno di legge per il distacco del comune di Sappada dal Veneto e la sua aggregazione al Friuli Venezia Giulia. Pochi giorni dopo, il 2 febbraio, anche la commissione Affari Costituzionali del Senato, riunita in sede referente, ha dato il via libera all’aggregazione di Sappada al Friuli. Ora la questione verrà discussa in aula prima di approdare all’esame della Camera dei deputati. Il percorso è ancora lungo e il suo esito non scontato, tanto che il sindaco di Sappada, per non restare in ogni caso senza risposte, sta sostenendo l’idea di costituire un fondo per i Comuni bellunesi che confinano con il Friuli Venezia Giulia, così come esiste per quelli che confinano con il Trentino Alto Adige.
Anche se il traguardo del passaggio di Regione non è ancora imminente, non c’è dubbio che i «sì» delle Commissioni del Senato rappresentano passi avanti significativi di fronte ai quali non ci si può non interrogare sulle conseguenze che ci saranno per la montagna bellunese e per il suo futuro.
Non c’è dubbio che la richiesta dei Comuni di cambiare Regione è motivata dalla consapevolezza che nei territori vicini, a statuto speciale, le condizioni di vita sono migliori, più favorevoli. Dalla constatazione, come ha detto il sindaco di Sappada parlando dei Comuni che non ricevono aiuti, che ora si può pensare «solo a una politica di sopravvivenza».
Ogni richiesta di cambiare Regione rappresenta quindi anche l’emergere della sofferenza della montagna giunta ormai all’esasperazione, alla sfiducia che sia possibile ricevere le risposte sperate e quindi alla convinzione che sia necessario "cambiare aria" e andare lì dove le risposte possono arrivare (in termini non solo di risorse, ma anche di una diversa attenzione verso le problematiche della montagna).
Ma la maturazione di questi convincimenti rappresenta una sconfitta grave per chi ha la responsabilità di amministrare la montagna, a partire dallo Stato e poi giù, a cascata, secondo le responsabilità dei vari enti locali interessati.
Una sconfitta di fronte alla quale non si può e non si deve fare spallucce, come se non stesse succedendo nulla di particolare e tutto si limitasse al problema del passaggio di un singolo Comune. Interpretare così la vicenda vorrebbe dire confondere il sintomo con la malattia, perché il problema vero è quello di una montagna che fatica a trovare prospettive e quindi è costretta a guardare ad altre montagne per il suo futuro.
È evidente la necessità che la questione venga affrontata e risolta alla radice. Che alla montagna vengano garantite le risposte di cui ha bisogno. Che finalmente non sia più necessario pensare di intraprendere la strada del cambiamento di Regione perché nella montagna a statuto ordinario si fa fatica ad andare avanti, mentre in quella a statuto speciale si può godere di condizioni molto più favorevoli.
Si capisce che il passaggio di Regione di questo o quel Comune, quando dovesse avvenire, non sarebbe la soluzione del problema, ma solo una fortuna per il municipio interessato. Anzi, il problema generale si aggraverebbe perché la montagna che resterebbe ordinaria ne risulterebbe ulteriormente impoverita.
C’è bisogno di risposte serie e a largo spettro. E se queste risposte non dovessero giungere? Le risposte devono arrivare perché si tratta di una questione di sopravvivenza (come dimostra anche il continuo spopolamento di cui soffre la montagna ordinaria) e perché si tratta di una questione di giustizia rispetto ad altre montagne avvantaggiate.

Leggi il "fondo" della settimana scorsa.

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