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Sapresti fare un riassunto?

di Luigi Del Favero

Di nuovo davanti al foglio bianco con un compito per casa da svolgere! Questa volta si tratta del testo di papa Francesco dedicato all’amore in famiglia che porta, in latino, un titolo che sembra intonare un canto: «Amoris laetitia».
Riassumere in una sola facciata quasi trecento pagine è cosa assai difficile alla quale rinuncio immediatamente. Rimane la possibilità di individuare un centro ‐ quello che ho visto io nella prima lettura ‐ e di esprimere la prima sensazione, che sarà poi quella che rimane. Per quanto riguarda il centro del grande documento non avrei esitazioni e lo formulerei nel modo seguente, con parole mie. Il Papa ci dice: dovunque tu ti trovi, quale che sia il tuo vissuto, la tua età, la tua situazione di famiglia, la tua storia che contiene certamente conquiste e fallimenti, ebbene quello è il punto di partenza per un possibile cammino. È una possibilità offerta a tutti, senza esclusioni. Ci sono dentro i giovani e gli anziani, i fidanzati, gli sposi, i genitori, i coniugi che di decennio in decennio festeggiano anniversari felici e quelli che hanno conosciuto il fallimento, la separazione, il divorzio; quanti hanno sofferto per un lutto e sono vedovi, quelli che sono rimasti single, quanti hanno scelto il celibato, le persone con tendenze omosessuali; veramente siamo dentro tutti. Si capisce allora l’unico grido della lettera di Francesco, collocato nelle ultime righe: «Camminiamo, famiglie, continuiamo a camminare!».
Ma perché camminare? Perché l’amore, di sua natura, è un cammino, con le sue tappe e di esso è possibile descrivere la storia. E verso dove andare? Dove porta la strada? Il Papa ci sorprende con una parola semplicissima che in lui è una certezza dipinta sul suo volto prima che colta dalle labbra. La meta è la gioia. Quando nessuno ci crede più almeno, tra quanti parlano e scrivono – non tra quelli che vivono – Francesco ci dice che siamo incamminati verso la gioia. Dio ama la gioia dei suoi figli, gioia che è un altro nome – dimenticato – della santità.
Appare immediatamente la legge che regola il cammino. Bisogna risentirla direttamente: «I piccoli passi sul camino della virtù possono essere molto più grandi del successo virtuoso di chi vive in una situazione confortevole». Ritorna alla mente il ricordo del convalescente. Lo abbiamo appena visitato e abbiamo appreso che dopo tanto si è alzato, ha fatto il giro del letto, si è accostato al tavolo per mangiare. Afferriamo il telefono per comunicarlo agli amici come una grande conquista e un segno che la vita ritorna. Non ha scalato l’Everest nè ha vinto la maratona, eppure quei passi sono un successo che ci rende ancora più felici, riportandoci alla felicità di quando abbiamo fotografato i primi passi di un bambino che si affidava alle sue gambe e soprattutto alle braccia che si protendevano verso di lui. Con realismo il Papa aggiunge che non si deve gettare sopra due persone limitate il «tremendo peso» (sic!) di essere subito perfetti, cioè arrivati alla meta.
Se questo è il cuore intravisto, rimane da dire qualcosa dell’emozione ricevuta alla prima lettura. Ho sentito una voce e in tanti passaggi ho avuto netta la percezione della voce buona di papa Francesco. Questa voce un urla mai, in nessuna delle tante pagine. Non urla e non sgrida. Piuttosto canta. Bergoglio mostra finalmente di saper davvero cantare la bellezza dell’amore e intona con una melodia nuova, facile da apprendere e bella, il cantico della carità che leggiamo nel capitolo 13 della prima lettera ai Corinti. Forse non sa e oso fantasticare che la cosa un giorno gli venga segnalata, che il generale Von Moltke, condannato a morte dopo il fallimento della congiura per uccidere Hiltler, scrisse l’ultima lettera alla moglie dicendole: «Tu sei stata per me il capitolo 13 della Prima Lettera ai Corinti».
È una voce che piange, sommessamente certo, ma piange perché troppe sono anche oggi le ferite inferte alle famiglie: profughi senza casa, bambini che crescono soli, donne umiliate, anziani abbandonati, fratelli divisi. E poi l’individualismo egoista, anche quello educato, che genera violenze. Gli occhi non vengono distolti da nessuna situazione di dolore.
È la voce di uno che insegna. Non una dottrina perché quella c’è già, è nota e non cambia. Ma insegna la strada con una concretezza, con una competente conoscenza dell’animo umano, con un’attenzione alle tante culture ospitate dentro la Chiesa, che è spontaneo domandarsi: «Ma dove ha imparato quest’uomo tante cose sulla vita degli uomini e delle donne di oggi?». Qualcosa ha imparato sui libri perché mostra di conoscerli e li cita con citazioni precise, anche se essenziali. Il di più l’ha appreso dall’esperienza che rende il suo discorso comprensibile e attraente. In tanti passaggi del testo io, prete celibe e non più giovane, che ero partito nella lettura con attenzione pastorale, cioè diretta agli altri, mi sono fermato per pensare a me stesso, per rivedere la mia vita, per immaginare i passi che mi rimangono nel futuro affinchè siano indirizzati alla gioia di amare. Ho sentito che proprio adesso posso amare e devo lasciarmi amare.
Quella voce sa anche pregare. Se si vuole tutto il documento è una bellissima preghiera perché manifesta il tentativo di guardare la famiglia, l’amore, il matrimonio, la storia degli uomini e delle donne con lo sguardo di Gesù. Il tentativo in molte pagine è veramente riuscito. Grazie, papa Francesco.

Leggi "Don Luigi Del Favero" della settimana scorsa.

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