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Serve più democrazia anche nell’economia

La vicenda della Procond, come le tante, troppe storie simili che l’hanno preceduta (per esempio la recente, definitiva chiusura della Eaton–Invensys) è solo la punta di un iceberg molto più grande, profondo e nascosto di cui si stenta perfino a comprendere l’esistenza oltre che le dimensioni e le ricadute.
Questo iceberg enorme e pericoloso ha in realtà una definizione molto semplice: è la mancanza di un controllo democratico dell’economia.
Proviamo a capire meglio.
Ci sono rapporti tra le persone, le comunità e gli Stati che hanno trovato, faticosamente e lentamente, un modo condiviso e almeno teoricamente pacifico per risolvere le eventuali contese tutelando i diritti di tutti. Non è più consentito che ci si picchi tra individui per rubarsi le cose, le città hanno smesso da un pezzo di assediarsi e attaccarsi fra loro, e anche le nazioni hanno imboccato una strada costruttiva. Dopo le due guerre mondiali infatti è nata prima la Società delle Nazioni e poi l’Onu, che pur con mille difetti sono un primo tentativo democratico di "parlamento" mondiale. Lento e inefficiente, certo, con vecchi squilibri cristallizzati (i seggi fissi al Consiglio di Sicurezza per i vincitori dell’ultima guerra, mentre interi continenti, come l’Africa, ne sono esclusi), ma con il principio fondamentale che ogni Paese ha un luogo in cui può esprimere la sua voce davanti al resto del mondo.
Il limite maggiore è ovviamente quello della "sovranità", cioè al proprio interno ogni paese è libero di fare quello che vuole, e solo in rarissimi casi l’Onu consente interventi dal di fuori nelle questioni interne di un paese, anche se il confine tra "ingerenze straniere", "interventi umanitari" ed "esportazione della democrazia" è spesso molto sottile.
Un confine fragile, insomma, ma il principio è chiaro e pur sempre esistente: nessuno può entrare a dettar legge in casa d’altri.
Ma quello che, almeno teoricamente, vale per la politica internazionale, non vale invece per l’economia. Dove ci sono vere e proprie "superpotenze" che non rispondono a nessuna autorità, che anzi non riconoscono proprio nessuna autorità superiore, e si permettono di entrare in casa d’altri facendo il bello e il cattivo tempo. Di solito bello per loro e cattivo per i poveri padroni di casa.
Non parliamo solo delle multinazionali che nell’era digitale hanno spesso bilanci superiori a quelli di molti paesi europei, e infatti l’Unione Europea, che ha la forza e i mezzi per farsi valere, sta finalmente facendo la voce grossa contro le varie Google, Microsoft, Apple, Facebook, Amazon etc. che grazie a qualche trucco fiscale praticamente non pagavano tasse.
Il vero problema è un altro. È il «land grabbing» (accaparramento della terra) di mezza Africa, è la potenza degli Edge Fund (vedi Soros & c.), i fondi speculativi capaci di destabilizzare interi paesi e scatenare rivoluzioni telecomandate per favorire gli interessi di qualche investitore senza scrupoli. E in questo campo manca qualsiasi possibilità di controllo democratico: si possono bloccare le persone e le cose, nessuno – per ora – riesce a fermare la potenza di fuoco dell’economia di rapina. E invece va capita, arginata e regolata. Prima che ci porti dritti verso il rischio di un nuovo conflitto mondiale.

Leggi il "fondo" della settimana scorsa.

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