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Sa tenere i bambini in braccio

di Luigi Del Favero

Ho ritrovato alcune fotografie in cui mi hanno messo in braccio dei bambini piccoli e mi sono visto goffo. Non ho detto a caso che me li hanno messi in braccio, perché di mia iniziativa non lo faccio mai dato che ho troppa paura. Non ho imparato a tenere neppure i miei nipotini, sempre timoroso di lasciarli cadere o di far loro male o di non sostenerli quanto si deve; al primo pianto, li ho sempre restituiti ai genitori con notevole sollievo. Ora quando scorgo per strada ‐ cosa sempre più frequente ‐ dei papà che portano i loro piccoli, li osservo e li ammiro, provandone una tenera invidia: lo sanno fare con tanta disinvoltura e i bambini o dormono tranquilli o si godono. Ricordo la volta che ho notato un papà che reggeva la sua bambina di qualche mese con una mano sola e lei rideva beatamente.
Venerdì scorso ho visto e rivisto papa Francesco in visita ad una reparto di neonatologia a Roma. Lo avevano rivestito con la vestaglia verde e la mascherina ‐ che gli è caduta ‐ e, sulle prime, non lo si riconosceva. Ha preso in braccio diversi neonati ammalati che gli passavano le mamme o le infermiere. Li sapeva reggere bene, come un vero papà e li cullava, fissandoli con un sorriso che in questi giorni non ho dimenticato. Se delle mille immagini di papa Francesco oggi mi dicessero di conservarne per me una sola, non avrei dubbi nella scelta di questa che ho appena tentato di descrivere e ci metterei la dedica: «Sa tenere in braccio anche i bambini».
Perché «anche»? Le braccia ormai vecchie e forse stanche del Papa sanno reggere tante cose, persone e situazioni. Come le mamme gli mettevano in braccio i loro tesori con sicurezza, possiamo mettere nelle sue mani e tra le sue braccia la nostra fiducia. La merita interamente. Benedetto XVI lo ha affermato nell’ultima intervista, appena pubblicata, dicendo che è un pastore concreto, capace di governare, pronto a decidere, coraggioso. E gli ha rinnovato con stima affettuosa la sua totale "obbedienza", quella che aveva promesso solennemente al nuovo Papa, prima di sapere chi fosse. Congedandosi dai cardinali quel memorabile 28 febbraio 2013, aveva infatti affermato: «tra voi c’è il nuovo Papa: gli prometto fin d’ora la mia obbedienza incondizionata e totale». Non tutti i cattolici lo stanno imitando e serpeggiano tra noi voci di dissenso, ora con sofferenza e talvolta con critica aspra e perfino con insulti. Il bersaglio è stato individuato bene e la mira ormai è precisa. Si colpiscono le parole inequivocabili sui poveri, sugli immigrati, i profughi. Non lo si segue nel suo rifiuto di vedere intrecciati terrorismo e Islam e la sua immediatezza che lo fa seguire la diplomazia del Vangelo che piaceva tanto a papa Giovanni: cercare l’amicizia con tutti, anche con i cinesi o gli islamici. È convinto che solo l’accoglienza o l’amicizia disarmerà il terrorismo, non la guerra. Grida senza stancarsi che quella dei profughi – 65 milioni in tutto in mondo, con una piccola percentuale arrivata in Italia – è la più grave emergenza umanitaria dopo l’ultima guerra mondiale. Nel rifiuto della guerra è fermo e appassionato. Tengo nella mia stanza la pagina di una rivista che ho fatto plastificare; riprende con una sequenza di quattro immagini il famoso ’Angelus’ nel quale Giovanni Paolo II, vecchio e ammalato, grida – più con le mani e l’espressione del volto – quella frase: «Ho il dovere di dire a questi più giovani: mai più la guerra». Pochi giorni dopo si sarebbe scatenata la guerra del Golfo, contro l’Iraq e le inesistenti armi di distruzione di massa. Di quella guerra stiamo ancora pagando le amare conseguenze che il Papa aveva previsto con la lucidità del profeta, annunciando anche le ondate di profughi. Pure allora ci furono cattolici – purtroppo anche preti e qualche vescovo – che alzarono le spalle e si ripararono dicendo che al Papa tocca dire certe cose alle quali neppure lui crede del tutto! Ma non ci furono né le critiche né gli insulti che oggi toccano a Francesco. Un secolo fa colpirono invece pesantemente Benedetto XV che, il 1 agosto 1917, aveva denunciato «l’inutile strage» che oggi ci ostiniamo a celebrare con troppa retorica.
Seguire il Papa appartiene alla logica di ogni cattolico; è sostanza del mio essere nella Chiesa e nominarmi cristiano. Dare fiducia al proprio pastore è cosa saggia poiché egli cammina davanti a me, vede più lontano di me e intravede la strada giusta. L’avessero fatto tutti i cattolici tedeschi quando Pio XI denunciava il nazismo come nuovo paganesimo, inconciliabile con la fede cristiana o quelli italiani quando metteva in guardia dagli errori del fascismo! Oggi li accusiamo impietosamente. Mantenere l’unità nella Chiesa, anche a costo del sacrificio di qualche veduta personale, è questione che tocca la fede e si nutre di una profonda motivazione religiosa. Volendo che l’obbedienza sia anche onesta intellettualmente, c’è l’obbligo di informarsi in maniera intelligente e completa, scegliendo con cura le proprie fonti di informazione e possibilmente andando direttamente a quanto Francesco effettivamente dice o fa. Non basta guardare le sue scarpe e l’abito che indossa per dire che questo Papa mi piace o no. E magari aggiungere: «Il mio Papa è Benedetto», recando offesa prima di tutto proprio a papa Ratzinger!
Voglio fidarmi completamente di uno che tiene in braccio i bambini piccoli con tanta sicurezza.

Leggi "Don Luigi Del Favero" della settimana scorsa.

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