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Chi te l’ha insegnato?

di Luigi Del Favero

Avrei voluto chiederlo alla signora Lucia al termine di un intervento gustoso e applaudito, ma poi ho capito che sarebbe stata una domanda sbagliata. Mi è bastato cercare ancora questa persona straordinaria per prolungare l’ascolto del suo racconto. Si stava celebrando la festa dei Nonni e la Casa di soggiorno per anziani dell’Alpago ricordava i venticinque anni della propria fondazione. Al termine dei discorsi che la circostanza esigeva, ha preso la parola un’ospite della casa, Lucia appunto, con questa sola presentazione: «Classe 1918». Voce sicura, memoria precisa, vivacità invidiabile e soprattutto una serenità da incantare! E questo in una persona prossima ai cento anni. Termina l’intervento con una sorta di confessione: «Ora chiedo solo al Padre Eterno di farmi arrivare dall’Altra Parte viva». La morte è guardata in faccia con la naturalezza con la quale si attende un familiare e con il realismo da donna forte che si protende al dopo e chiede di arrivarci «viva». Proprio su questo mi sarebbe piaciuto interrogarla per chiederle chi le avesse insegnato una richiesta tanto straordinaria. Ho desistito perché la domanda sarebbe stata inutile, essendo da subito chiaro che una parola simile proviene da lontano: dall’esperienza della vita, da un carattere felice, dalla fede profonda e sempre coltivata e che il suggeritore ultimo è il Maestro interiore, quello Spirito Santo che ama parlare alle persone più semplici o semplificate.
Guai tentare di spiegare la frase, poiché si rischierebbe di rovinarla. Ogni aggiunta per chiarirne il senso lo complicherebbe e lo renderebbe più oscuro. Meglio assaporarla nella sua freschezza e raccogliere il messaggio che trasmette, in cui c’è la certezza limpida della vita eterna, il desiderio pacato di raggiungerla in tempi ravvicinati e l’intuizione sicura (ecco i capolavori dello Spirito) che sarà proprio vita e non un sonno. Lucia non ha voglia di andare a riposare, ma a vivere ancora. Su questo le ho domandato qualcosa discretamente. Con lacrime che non erano più amare mi ha riferito dell’attesa di incontrare quel compagno della sua giovinezza che l’ha lasciata vedova a 22 anni con un bambino da tirar su. «Ho il loculo già pronto accanto a lui, lassù nel mio Comelico, del quale ho infinita nostalgia dopo settant’anni e tanta felicità al pensiero di ritrovarlo presto». Mettendo insieme alcuni ricordi biblici ho applicato a Lucia espressioni famose: «Pronta come una sposa preparata per il suo sposo».
Fuori la giornata era uggiosa e portava con sé quella sorpresa di passare improvvisamente dall’estate che non voleva finire delle ultime settimane, all’annuncio dell’autunno. Quando il passaggio avviene così, senza preparazione, ci provoca un vago malessere: né il nostro corpo, né gli occhi, né lo spirito sono pronti a questi mutamenti repentini, senza i tempi adeguati di adattamento. Si sente subito il freddo, si avverte la noia, si soffre per il calo improvviso di luminosità. Nonostante l’ottima preparazione, neppure la festa di 25° era del tutto allegra, costellata dal ricordo dei tanti che non ci sono più, velata dalla consapevolezza delle difficoltà economiche che preoccupano ogni giorno la mente dei responsabili e segnata da un’assenza che nessuno ha marcato, ma che si poteva avvertire: nel giorno in cui si festeggiavano i Nonni mancavano i nipoti. Giovani non ce n’erano e così la rottura dell’alleanza tra le generazioni descritta nei libri di sociologia, riceveva conferma. Avrebbero potuto capire le cose dette da nonna Lucia con l’autorevolezza dei cento anni e quella più forte, fondata su una serena voglia di vivere che sfonda addirittura la barriera ultima? È una domanda alla quale non so rispondere perché mi afferra una viva preoccupazione per la fitta nebbia che nella nostra società sta avvolgendo la fine dell’esistenza terrena e il fine stesso di questa nostra vita, che un ’grande’ del nostro tempo ha chiamato stupenda e drammatica.
Lucia vuole arrivare al traguardo e oltrepassarlo "viva". Se questa parola arrivasse all’orecchio di papa Francesco potremmo scommettere che la rilancerebbe al mondo intero, parlando da quella famosa finestra dalla quale ogni domenica si rivolge al mondo, forse più ascoltato da non cristiani che da una certa categoria di cattolici. Già altre volte, su argomenti diversi, si è fatto portavoce della sapienza appresa da persone anziane. Probabilmente potrebbe rivolgere a Lucia la domanda che una volta, in Argentina, fece ad una donna molto povera e provata dalla vita, che gli aveva ’spiegato’ perché Dio perdona sempre. Le aveva chiesto se per caso avesse frequentato l’Università Gregoriana, che è la più famosa scuola di teologia al mondo. Era un modo per dire che quella donna nelle cose di Dio sapeva di più dei grandi teologi. Ma probabilmente non si tratta neppure di cose da sapere, ma di occhi che vedono in profondità e sanno scorgere realtà lontane che altri neppure percepiscono. Quella donna che mai avevo incontrato, scesa quasi settant’anni fa dal Comelico e fermatasi in Alpago, a me ha trasmesso questa certezza e vorrei che sapesse quanto bene mi ha fatto.

Leggi "Don Luigi Del Favero" della settimana scorsa.

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