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Per vedere di più

di Luigi Del Favero

Quando si vede meglio? Il senso comune risponde con sicurezza: «Quando c’è il sole». È quel buon senso che alla richiesta di attaccarmi un bottone o di ricucire uno strappo sul vestito faceva rispondere a mia madre che l’avrebbe fatto l’indomani, alla luce del sole. Tanti nostri comportamenti sono mossi da tale evidenza che non ha bisogno di dimostrazioni. Al calare del sole si smettono certe attività nelle quali occorre vederci bene. Ogni autista sa che nella stessa ora la guida diventa più difficoltosa e gli incidenti più probabili. Ma chi può dire con più competenza quanto sia desiderabile la luce del giorno è certamente la sentinella che è in attesa dell’aurora che dissipa le tenebre e riporta sicurezza dopo le insidie dell’oscurità. Tuttavia per altri aspetti, per vedere di più bisogna aspettare la notte, augurandosi che il buio sia fitto. Si potrebbe dire che di giorno si vede meglio, ma di notte si vede di più. E questo non vale solo per i tanti animali notturni che si muovono nell’oscurità attrezzati dalla natura a vederci quando noi non scorgiamo più niente. Vale anche per noi. Il giorno infatti limita il cielo all’azzurro, mentre la notte non ha confini. Ci rivela realtà nascoste a milioni di chilometri di distanza. Ci mostra perfino realtà scomparse, le stelle morte, dal cui strascico luminoso siamo ancora raggiunti.
L’inverno che ci sta lasciando non ci lascia molti ricordi. Per un po’ parleremo del freddo di gennaio e probabilmente dovremo fare i conti con la prolungata siccità di questa strana stagione dalla quale abbiamo voglia di prendere congedo poiché è stata avara di neve. Conserverò invece un ricordo personalissimo di alcune notti invernali, gelide e limpide. Mi dispiace di aver avuto paura del freddo e di non aver approfittato maggiormente dello spettacolo che il cielo ha offerto, per settimane, nuovo in ogni notte. L’apparire di Venere subito dopo il tramonto, il cammino di Orione, la lucentezza di Sirio, la luna piena di dicembre e gennaio e ancora di febbraio hanno ripagato un po’ di cammino per cercare il posto meno inquinato dalle luci cittadine, dove ammirare, rigorosamente in silenzio, queste misteriose presenze. E dopo il sonno della notte, al mattino era possibile ritrovarle, regolarmente spostate secondo la propria traiettoria, ma fedeli e, se possibile, ancora più luminose.
La spinta ad affermare che di notte si vede di più mi è giunta però da fuori. C’è stata la notizia, rimbalzata per sole 48 ore da telegiornale a telegiornale, della scoperta di un pianeta, subito chiamato «la sorella della terra». Ascoltando la notizia c’era da stupirsi, poi da sorridere per le ingenuità proposte, anche da irritarsi per le esagerazioni. Chissà perché dobbiamo godere tanto dell’esistenza di extraterrestri dato che nel nostro mondo non siamo soli! La corrispondente dagli Stati Uniti, con toni quasi lirici, ha dunque annunciato che finalmente avevamo scoperto che nello spazio abbiamo dei cugini. È giusto chiamarli così perché se abitano il pianeta "sorella della terra", i suoi abitanti sono nostri cugini: le madri infatti sono sorelle. In quella corrispondenza pareva fosse già aperta la corsa per prenotarsi il viaggio con il quale arrivare da tali parenti. È stato intervistato anche uno scienziato il quale ha detto pressappoco così: «Se c’è acqua, se il clima è temperato, senza eccessi di freddo o di calore, se non ci sono radiazioni nocive, se la forza gravitazionale è equilibrata, forse potrebbero esserci delle forme di vita: dei microrganismi o dei batteri». Difficile chiamarli cugini! Tuttavia la notizia ha stimolato a pensare all’infinito: bisogna immaginare stelle dietro altre stelle, ulteriori vie lattee al di là della nostra, spingendo più lontano le frontiere dell’infinito.
Il secondo fatto che ho chiamato esterno in realtà è avvenuto nella mia camera durante alcune ore notturne, dedicate alle lettura di un libro incandescente nel quale un autore, diventato celebre, racconta la sua avventura giovanile nel deserto del Sahara. Vi era andato, a 28 anni, in équipe per la sceneggiatura di un film. Aveva sperimentato il silenzio, la solitudine, il calore del giorno e la meraviglia della notte. Alla fine proprio questa lo aveva catturato al punto da descriverla così nei ricordi ancora vivi dopo anni: «Di notte il Sahara assume un’aria di festa. Mentre sotto il sole infligge l’ascesi, col buio diventa ricco, profuso, generoso, orientale, prodigo di un’orgia di gioielli realizzati dal più pazzo dei gioiellieri: collane, spilli, diademi di diamanti, catene d’oro e braccialetti di scintille. Migliaia di stelle ornano lo scrigno di velluto color bistro». In una notte, quella in cui si era perso, allontanandosi dal gruppo, il misterioso gioielliere lo aspettava. La sua presenza era stata annunciata dalla preghiera della guida, uno degli uomini blu del deserto, un tuareg mussulmano dalla grande statura. L’annuncio era stato accolto prima con scetticismo, poi con curiosità e infine con rispetto. Però nella notte stellata, si era fatto sentire vicino Lui stesso, il Signore. Davvero «i cieli narrano la gloria di Dio e il firmamento annuncia l’opera delle sue mani». Di notte la si vede di più. Se resistiamo nell’attesa, può accadere anche nelle notti buie del dolore.

Leggi "Don Luigi Del Favero" della settimana scorsa.

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