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Temere la morte senza amare la vita

di Luigi Del Favero

Un papa Francesco insolitamente duro, nel mercoledì delle Ceneri ci ha detto la necessità della Quaresima con queste parole: «La Quaresima vuole anche dire NO all’inquinamento intossicante delle parole vuote e senza senso, della critica rozza e veloce, delle analisi semplicistiche che non riescono ad abbracciare la complessità dei problemi umani, specialmente i problemi di quanti maggiormente soffrono».
Parole vuote e senza senso! Non sono senza dubbio quelle di chi soffre, di quanti vedono davanti a sé un buio così fitto da chiedere la morte con il suicidio assistito, l’eutanasia, la sospensione delle cure. Neppure quelle di chi non ha intravisto futuro per sé e la creatura che portava in grembo e ha fatto ricorso all’aborto, tormentandosi poi per una scelta irreparabile. Le parole di quanti soffrono non sono mai vuote né senza senso e papa Francesco, prima con i gesti e poi con un insegnamento insistente mostra come rispondere: con accoglienza e rispetto profondo e tanta sincerità. Piuttosto che condannare, egli abbraccia in silenzio. E fa obbligo ai suoi preti di comportarsi così. Ma condanna fermamente le parole vuote e senza senso e la critica rozza e veloce. In questi giorni il pensiero è andato dritto a tanti giornalisti, politici, intellettuali che hanno parlato decisamente troppo. I giornalisti della televisione pubblica non hanno certamente nascosto da che parte stanno, schierati apertamente dalla parte dei "diritti": diritto a morire, ad avere l’aborto, ad essere riconosciuti come famiglia con due padri e nessuna madre ecc. Talvolta scivolano senza accorgersi. È capitato alla conduttrice di telegiornale che denunciava con passione il fatto di una «madre che ha chiesto a decine di ospedali di abortire il suo terzo figlio» (1 marzo 2017). Dunque è un figlio colui che non doveva nascere! Il linguaggio sfumato, politicamente corretto, avrebbe voluto che dicesse che quella donna ha chiesto l’interruzione della sua terza gravidanza. I politici non hanno perso l’occasione offerta da tristi fatti di attualità per promettere di garantire presto i diritti rivendicati, senza dover andare in Svizzera o in Canada o nella lontana India. I soliti intellettuali ospitati nei media hanno accusato la cultura cattolica dominante in Italia di bloccare il cammino verso il progresso e di tenerci indietro rispetto a quanto avviene negli altri Paesi moderni. Per fortuna quella stessa cultura ha agito quando si è trattato di salvare tante vite umane che stavano naufragando in mare e ha impedito di costruire muri o decretare respingimenti come fanno altri Stati moderni più progrediti e più ricchi di noi. Speriamo che questa non sia ritenuta una colpa.
Luciano Violante da magistrato e da giurista lucido ‐ può apparire perfino freddo ‐ ha toccato con esattezza il punto più cruciale nel dibattito civile: «Al diritto a morire dovrebbe corrispondere il dovere di dare la morte». Ora tale dovere non esiste, non ha alcun fondamento: nessuno infatti può essere obbligato a dare la morte ad un altro. Del resto su chi dovrebbe pesare tale dovere? Sui medici? Ma la quasi totalità lo rifiuta. Sullo Stato? Ma così lo Stato distruggerebbe se stesso trasformando ogni aspirazione individuale in un diritto. «Non esiste un’inesauribile cassaforte dei diritti dalla quale estrarre tutto quello che fa comodo», conclude Violante.
Ai responsabili della comunicazione vorrei che arrivasse l’osservazione ascoltata direttamente da un infermiere dedicato all’assistenza domiciliare: «In questi giorni i malati che assisto sono più depressi. Il bombardamento di notizie su morte, eutanasia, suicidio, testamento biologico, provoca in loro un misto di tristezza e di senso di colpa di esistere e provoca tanta oscura paura di sofferenze insopportabili che potrebbero arrivare domani». Anche verso queste persone dovrebbe esserci responsabilità e delicatezza. Hanno bisogno di un’unica promessa: «Non sarete mai soli». Quando calerà il chiasso ‐ succede sempre e velocemente ‐ resteranno i problemi. Il chiasso ha infastidito; i problemi reclamano attenzione e soluzioni. Sono quelli che circondano il fine vita e quelli che possono presentarsi all’inizio della vita. Sono problemi difficili e in gran parte nuovi. Pochi decenni fa nessuno poteva immaginare gli sviluppi della scienza che prolunga la vita con il rischio di crudeli accanimenti. E riescono a trattare la vita in laboratorio con pratiche di fecondazione assistita difficili perfino da spiegare. Ci vuole dialogo, competenza, serietà e tanta umiltà. Al credente non è praticato nessuno sconto sulla fatica della ricerca e sulla possibilità di sbagliarsi. E non deve – il credente – ritenersi solo nella difesa della vita. Altri non la pensano come lui, ma poi possono avere comportamenti altruisti, altamente morali, nobili. Non importa se non andiamo d’accordo sulle premesse; mettiamoci insieme sugli atteggiamenti concreti. Quanti vivono i problemi difficili di cui parliamo non hanno bisogno di spiegazioni filosofiche o teologiche, ma di presenza e di aiuto. Uniamoci affinché la nostra non sia una società in cui si teme irrazionalmente la morte, senza amare la vita.

Leggi "Don Luigi Del Favero" della settimana scorsa.

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