Il vescovo di Belluno-Feltre Renato Marangoni ha proposto al pubblico "social" dell’Amico del Popolo e di RadioPiave alcune riflessioni e gli auguri per il 2019, nella forma di un’intervista realizzata l’ultimo dell’anno, il 31 dicembre, negli studi di Belluno.
«A volte la ragnatela sembra invisibile», ha detto il Vescovo pensando al tessuto della società sul nostro territorio, «bisogna andare vicino, oppure sbatterci addosso. Mi sembra che sia successo un po’ così con l’evento del 29 ottobre: la ragnatela è venuta fuori nella capacità di guardare avanti, al di là del disastroso. Non è scontato, per me è stato un fatto significativo».
«La sofferenza», ha detto ancora il vescovo, «l’ho vista e mi ci sono sentito dentro anch’io, nel rapporto con tutte le realtà nostre, le nostre parrocchie, implicate nella situazione difficile, nell’impossibilità di comunicare... Anch’io ho tentato di telefonare, mi sono trovato nella situazione di non sapere... Subito dopo quel 29 ottobre c’erano le celebrazioni dei morti e dei santi, ho dovuto chiedere aiuto ai Vigili del fuoco. Ma mi ha colpito questo: sfondando un pochettino la porta, si è aperto un mondo e uno stile di collaborazione che secondo me va lavorato, va evidenziato e va tradotto in un progetto. E questo va fatto insieme, lavorandoci insieme, ascoltandoci: questo secondo me è un grande seme da coltivare. Bisogna che ci lavoriamo. È un fronte di vitalità, di vita, di futuro».
Il Censis analizzando la società restituisce l’immagine degli italiani come popolo "polverizzato" e arrabbiato. «Mi ha colpito l’analisi del Censis, però io la realtà la guarderei così: mettiamoci insieme per far nascere una potenzialità. Non siamo arrabbiati, l’ho visto in quei giorni lì, non c’era rabbia, non ho sentito parole cattive, ho visto invece gesti di accoglienza, è venuto fuori qualcosa che c’è: bisogna che ci aiutiamo».
E poi dobbiamo procedere alla rivisitazione della nostra tradizione, delle nostre articolazioni in cui il territorio è storicamente diviso. «Chi di noi può dire di avere solo un’appartenenza?», ci chiede il vescovo nell’intervista, e poi: «Mi è piaciuto moltissimo quando la storica Luciana Palla, alla presentazione del suo libro sulla guerra, ha detto: io mi sento fodom, bellunese, italiana. Ecco, mille sono le appartenenze, dobbiamo abituarci a riconoscere che il plurale abita ormai dentro la nostra individualità. Abbiamo una parola profetica da dire, in questo, e qui c’è anche un augurio»: non va bene «la rivendicazione di essere uniformi, un monoblocco, sappiamo riconoscere la pluralità che c’è in noi, che non ci fa perdere la nostra identità. Noi diventiamo facendo esperienze di vita e d’incontro con gli altri, verso quella fraternità a cui ci ha sollecitato il Papa nel giorno di Natale».
Nell’intervista si toccano anche i temi della demografia, del calo della popolazione, della denatalità. «Penso che, guardando anche alla storia, ci sono stagioni diverse, stagioni di caduta e stagioni di ripresa: diamo fiducia alle politiche positive, alle buone iniziative. Probabilmente prepareranno una rigenerazione. Vedo i giovani delle nostre parrocchie radicati al loro territorio, affezionati: questo è un segnale, dobbiamo metterci in ascolto, capire come loro lo sentono, il loro territorio e aiutare per quel possiamo, come adulti. Non dobbiamo perdere la speranza e la fiducia. È anche l’augurio che faccio, soprattutto a chi è più a disagio. La solidarietà ci porti anche a farci carico gli uni degli altri».