Belluno °C

sabato 27 Aprile 2024,

Nel ricordo delle foibe, «la storia di noi, profughi italiani, ancora sconosciuta»

Lo ha sottolineato Giovanni Ghiglianovich oggi, lunedì 10 febbraio a Belluno, durante le cerimonia per il Giorno del Ricordo. Perale: «Alle vittime di ieri e alle loro famiglie dobbiamo la verità». Critico De Carlo: «Prevalgono riduzionismo e giustificazioni».

«La storia di noi, profughi italiani, è ancora praticamente sconosciuta. Dobbiamo parlarne, affinché anche i Bellunesi vengano a conoscenza delle enormi sofferenze subite da chi fu costretto ad abbandonare la propria terra. Ancora oggi il numero delle vittime, di coloro che furono gettati nelle foibe, è impossibile da quantificare. Le salme recuperate sono solamente una parte di quelle cercate». Giovanni Ghiglianovich, presidente del Comitato provinciale dell’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, è nato nel 1937. Profugo di Zara dal 1944, risiede a Belluno dal 1968. Il dolore per quell’esilio forzato di oltre 70 anni fa è vivo e pulsante. Ed è emerso dall’intervento di oggi, lunedì 10 febbraio, durante la cerimonia commemorativa del Giorno del ricordo, nel giardino del Piazzale Vittime delle Foibe, a Belluno. Una cerimonia semplice e raccolta, in cui è stato ricordato il dramma dell’esodo patito da italiani d’Istria, fiumani e dalmati al termine del secondo conflitto mondiale.

«Nel Bellunese siamo ormai rimasti in pochi», ha detto Ghiglianovich. «Proprio ieri facevo un calcolo. Assieme al sottoscritto, ci sono 18 fiumani, 6 dalmati e una ventina di istriani. In Slovenia stanno recuperando ancora oggi salme di infoibati. Eppure l’artefice di questo sterminio, Josip Broz Tito, oggi gode in Italia del riconoscimento del Cavalierato di Gran Croce, di cui fu insignito oltre 50 anni fa». «Tra il 1943 e il 1945, quando fummo costretti a lasciare le nostre case e le nostre terre, magari avessimo ricevuto semplice indifferenza dal popolo italiano. Abbiamo avuto ostilità, accuse, ci dicevano che stavamo dalla parte del regime, quando anche noi avevamo patito le conseguenze del fascismo».

E Ghiglianovich ha lanciato un appello alle istituzioni: organizzare degli eventi, degli incontri per far conoscere ai Bellunesi quel pezzo di storia per troppo tempo cancellato. «Quello delle foibe è un tema lacerante, che ha fatto fatica ad emergere», ha voluto sottolineare Marco Perale, assessore alla cultura del Comune di Belluno. «Un tema rimosso per troppi decenni, sia per le ragioni della geopolitica, durante la guerra fredda, sia per l’enormità di quanto era accaduto: una vera e propria amputazione di un pezzo di storia, di un pezzo d’Italia (con le tre province di Pola, Fiume e Zara) e di un pezzo di vita per tante, troppe famiglie. Come ha detto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, si tratta di una sciagura nazionale che va finalmente affrontata e condivisa, superando ogni facile scorciatoia offerta dal negazionismo o dalle semplificazioni. È il tempo di ridare dignità alla memoria, individuale e collettiva».

Alla cerimonia in Piazzale delle Foibe, dove dal 2016 è presente un monumento, una “pietra del ricordo” fortemente voluta dal Comitato bellunese dell’Anvgd, erano presenti amministratori, rappresentanti di istituzioni, autorità militari, i giovani delle Scuole in Rete. Proprio alle nuove generazioni si è rivolto il prefetto di Belluno, Adriana Cogode. «Devo ringraziare i giovani e le scuole», ha precisato. «Il lavoro che si fa a 360 gradi per commemorare i crimini contro l’umanità serve a ricreare il senso civico e consapevolezza della responsabilità, sia individuale che collettiva. Il ricordo è solo un punto di partenza. E l’odio, in quanto sentimento assoluto, non viene sconfitto una volta per tutte, ma deve essere combattuto ogni giorno. Tramite un altro sentimento assoluto, l’amore, che si traduce nella pace. La storia è come il mare e restituisce all’uomo memoria di avvenimenti belli e di avvenimenti brutti. Essere indiffirenti è molto pericoloso».

«Non è stato possibile allora e non è possibile oggi pensare a una giustizia umana», ha aggiunto Perale. «Quello che possiamo e dobbiamo offrire invece alle vittime di ieri e alle loro famiglie è la verità, che non è facile, che ha molte facce, che richiederà ancora molti anni per arrivare a una lettura condivisa capace davvero di cicatrizzare una ferita che per molti non si è mai rimarginata. Belluno terra di confine, attraversata da due guerre mondiali nel secolo scorso, ha imparato sula sua pelle che i confini e i nazionalismo sono stati branditi come armi improprie. La soluzione, oltre allo studio della storia di ieri, sta nella costruzione della casa comune europea».

Ghiglianovich ha ricordato, come ogni anno, l’esule istriano don Carlo Onorini, e il vescovo emerito Giuseppe Andrich, prima di recitare il salmo “Dal profondo a te grido, o Signore”, ha riflettuto sul fatto che le «realtà misere dell’umanità si sono verificate perché è mancata la visione del volto dell’altro». «Spesso dimentichiamo il significato della parola “defunto”», ha proseguito. «Deriva da “fulgor”. Chi ci ha lasciato ha un’altra “funzione” anche nei nostri confronti, tra cui ricordarci ciò che è più desiderabile: la pace da costruire assieme».

Come ogni anno, era presente alla cerimonia Luca De Carlo, sindaco di Calalzo e deputato di Fratelli d’Italia, che non ha mancato, a margine, di esprimere il suo sconcerto. «Se non fosse stato per l’intervento di Giovanni Ghiglianovich, oggi nessuno avrebbe rievocato le responsabilità dei partigiani comunisti titini. C’è ancora tanto lavoro da fare per la memoria delle vittime delle foibe: regnano ancora giustificazioni e riduzionismo. Anche il Presidente della Repubblica ha bacchettato quelli, come l’Anpi, che vogliono negare, minimizzare o giustificare quanto accaduto sul fronte orientale tra il 1943 e il 1945, ma si continua a voler giustificare, senza riconoscere le vere responsabilità. È uno scandalo e una vergogna: lo si vuol far passare come un evento senza peso pur di non ammettere le reali colpe».

De Carlo, in prima fila con l’assessore del Comune di Tambre Lucia Della Libera, sottolinea come sia la storia ad aver decretato le responsabilità sulle stragi degli infoibati: «I partigiani comunisti titini e Tito, che ancora oggi gode in Italia del riconoscimento del Cavalierato di Gran Croce, di cui fu insignito oltre 50 anni fa. Da anni mi batto, e con me tutta Fratelli d’Italia, affinché questa benemerenza venga revocata. Una doppia beffa, se si pensa che la burocrazia impone di non revocare l’onorificenza ai defunti, visto che questi non potrebbero opporsi. Da tempo abbiamo depositato proposte di legge per sanare questa stortura e levare una volta per tutte al maresciallo Tito un riconoscimento indegno per chi ha ucciso, solo per il fatto di essere italiani, migliaia di nostri connazionali». Martina Reolon

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

%d