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venerdì 26 Aprile 2024,

«Andrà tutto bene»? Il medico: non è come nelle favole

“Andrà tutto bene” è un messaggio rassicurante, che può andar bene per i bambini, ma non è adatto per tutti, non per i familiari di chi ha appena perso una persona cara, per esempio.

L’Amico del popolo propone regolarmente i bollettini con numeri e grafici che illustrano l’andamento della pandemia da coronavirus in Italia, nel Veneto e nella nostra provincia. Ma questa vicenda ha un’altra faccia, non meno importante: è il lato umano, psicologico, spirituale. Ne abbiamo parlato con un medico bellunese.

Questi giorni sono caratterizzati da un senso di paura e di disorientamento, ce lo portiamo dentro.

«La nostra esistenza è un cammino in cui non mancano imprevisti e sorprese, che possono farci perdere la direzione, facendoci smarrire. Molti poeti e scrittori hanno descritto questa esperienza, rifacendosi simbolicamente all’attraversamento di un bosco, spesso privo di luce. Tutti ricordano l’inizio della Divina Commedia di Dante: “Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura ché la diritta via era smarrita”. Pensiamo anche alle fiabe di Cappuccetto Rosso, Pollicino, Hansel e Gretel oppure ai più famosi romanzi di Tolkien, “Lo Hobbit” e “Il Signore degli Anelli” con il Bosco Atro. Il sentimento che accompagna questa esperienza è sempre la paura. I racconti prevedono che il protagonista, pur tra varie difficoltà, riesca comunque a cavarsela anche in queste circostanze».

Rischiamo di “smarrirci”, a causa del coronavirus.

«Sì, in questo periodo di emergenza viviamo un senso di smarrimento, non solo per il cambiamento forzato delle nostre abitudini. Nelle nostre vite è entrata anche la paura per quanto sta accadendo, per un virus che può causare la morte, portandoci un gusto amaro, di cui facciamo fatica a parlare. Il nostro sguardo cerca una via d’uscita e, per farci forza, proviamo a dare ascolto alla voce interiore che ci dice: “Ce le faremo!”. Lo slogan che vediamo ripetere, “Andrà tutto bene”, assomiglia al lieto fine di un racconto, iniziato con “C’era una volta un virus…”».

Stiamo cercando di dire a noi stessi che il finale sarà lieto, come nelle favole?

«Non esattamente, provo a spiegarmi meglio. Durante i periodi difficili, capita che gli adulti provino a proteggere i bambini dal crudo contatto con la realtà del male, come viene splendidamente raccontato nel film “La vita è bella” di Roberto Benigni. Le fiabe tradizionali hanno lo scopo di creare un ambiente protetto in cui i più piccoli possano sperimentare un’elaborazione simbolica della paura, ma senza correre pericoli reali: perdersi nel bosco, ma non per davvero. “Andrà tutto bene” è un messaggio rassicurante, che può andar bene per i bambini, ma non è adatto per tutti, non per i familiari di chi ha appena perso una persona cara, per esempio. Viene da chiedersi se questo slogan non rappresenti anche una difficoltà del mondo degli adulti di rapportarsi con il problema del Male, ricorrendo a una modalità arcaica di pensiero, presente nei bambini, che emerge nell’adulto in momenti di difficoltà di rapporto con il vissuto reale».

Insomma abbiamo paura e cerchiamo di difenderci ripetendo che il male non arriverà.

«Sì, è profondamente umano e naturale: il pensiero logico e razionale cede il comando al “pensiero magico”, legato al nostro insopprimibile istinto di sopravvivenza; ha una funzione difensiva e propiziatoria, riempiendo i vuoti di ciò che non può essere colmato con la razionalità. Assunto fondamentale del pensiero magico è l’idea di poter influenzare la realtà secondo i pensieri e i desideri personali: questo virus mi spaventa, ma “andrà tutto bene”!».

E così ripetiamo “Andrà tutto bene” evitando di guardare in faccia la realtà e di vedere quello che già succede…

«Esattamente. Un’altra caratteristica del “pensiero magico” è l’impermeabilità all’esperienza: tante persone muoiono, ma “andrà tutto bene”. La conoscenza delle caratteristiche di questa nostra modalità di difesa può aiutarci a diventare più consapevoli, per fare in modo che non sia la sola guida usata per attraversare il bosco».

Lei dice che dovremmo provare ad affrontare la realtà, anche quando questa ci spaventa?

«Non è un obbligo, anzi è più istintivo e immediato ricorrere ai nostri meccanismi di difesa, fuggire, evitare, pensare ad altro, sdrammatizzare scherzando. Quante spiritosaggini circolano in questo periodo. L’ignoto, ciò che non conosciamo, come questo nuovo virus, ci spaventa e anche la ricerca di informazioni “scientifiche” può essere un tentativo di difesa, che però ottiene un effetto non rassicurante quando si scoprono brutte notizie. A prescindere da questo virus, la vita di ciascuno di noi presenta sempre qualche difficoltà, qualche intralcio; però se ogni volta che si presenta un problema lo evitiamo, resteremo sempre come bambini. Per crescere è importante fare esperienza dei propri limiti, della propria fragilità, non fuggire da se stessi».

Il coronavirus ci costringe a guardarci allo specchio?

«Il virus ha costretto molti a fermarsi, a stare da soli, isolati, abitati da pensieri scomodi. Non siamo molto abituati a “stare nel deserto”. Il pensiero probabilmente più inquietante è la paura della morte, nostra o dei nostri cari. Quando siamo posti di fronte al mistero del Male, il pensiero razionale vacilla; la ricerca alla domanda “perché?” resta senza risposta. Rischiamo di perderci».

C’è una via d’uscita dal bosco, anche se non troviamo risposte alla domanda “perché”?

«Ci aiuta, forse, un’altra domanda: “per chi?”. Quali sono, cioè, le persone verso cui possiamo fare qualcosa, offrendo il nostro aiuto, anche in situazioni difficili? Le relazioni, gli incontri ci possono sorprendere, offrendoci una via d’uscita dal bosco, un piccolo lume. Nella canzone “Camminando verso Te” di don Rinaldo Ottone, molto bella, ma poco nota, c’è questa strofa: “E se la luce mancherà scoprirai di avere in dote un lume e anche dentro l’oscurità la via giusta per te potrai vedere”. Don Rinaldo ha spiegato il senso di questa immagine. Ogni cammino può presentare momenti di oscurità, però, fin da quando siamo nati, tutti abbiamo in dotazione una luce. I mistici la chiamano “lucerna pedibus”, cioè una “lampada per i miei passi”».

Che cosa significa, quest’immagine della lucerna?

«La vita, qualche volta, risulta come una giornata limpidissima, in cui si vede tutto, si vede lontanissimo, si capisce tutto; ma tanta parte della vita non è così: si svolge al buio, si vede poco, qualche volta non si vede proprio niente. E come si fa ad andare avanti? Si direbbe che bisogna stare fermi o andare avanti a caso. In realtà, proprio in questi momenti, ci accorgiamo che basta una candela. La caratteristica della candela è che ti permette di vedere il passo che devi fare, ma tre passi più in là non vedi niente; quindi l’unica cosa che ti permette di fare la candela è un passo; però, quando hai fatto quello, ne vedi un altro e poi un altro ancora. Gran parte della vita è fatta così, andiamo avanti al buio, ma con una lucerna nelle mani e la possibilità di scoprire questa nostra lucerna è data a ciascuno di noi, è data a tutti gli uomini».

Lei indica la possibilità di fare un cammino spirituale, in questa occasione. Anche per chi non ha fede?

«Certamente. Chi vuole può provare a fare anche concretamente questa esperienza: alzarsi al buio per camminare di notte con una piccola luce; è una attività spirituale potentissima. Di chi ci fidiamo, a chi ci rivolgiamo per affrontare le difficoltà? Che senso diamo a ciò che ci sta accadendo? Con chi ci sentiamo di parlare di ciò che riguarda la nostra vita interiore? Mai come in questo periodo di incertezza e di informazioni contraddittorie, si sente la necessità di far riferimento a fonti credibili, affidabili. Punti di riferimento certi. La crisi è un’occasione per fermarsi a meditare e contemplare. La meditazione è come la fatica del cammino, la contemplazione è come il riposo al termine del cammino. Usciti con fatica dal bosco, potremo raccontare, come Dante, del “ben che io vi trovai”, di quegli incontri e di quelle storie che sono state come “piccole luci” nel nostro cammino. E finalmente, dopo la fine di questa avventura, dopo essere usciti dal tunnel, potremo fermarci e, come Dante al termine del suo viaggio, esclamare: “E quindi uscimmo a riveder le stelle”. Questo, probabilmente, è quello che siamo chiamati a fare, in questo periodo difficile».

E per chi ha fede?

«Racconta l’esperienza del cammino al buio anche il Salmo 22: “Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me”. Lo stesso Gesù, appena prima di guarire il cieco nato, dice: “Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo”. Per chi ha fede Gesù è la via da seguire; il suo volto si nasconde nelle persone che incontriamo, verso cui possiamo fare qualcosa, offrendo il nostro aiuto, anche quando ciò comporta un nostro sacrificio. La fede è una ricerca, un cammino che ci porta verso il cuore del mistero; ne parla in questi termini la poesia del poeta romanesco Trilussa che inizia con: “Quela Vecchietta ceca, che incontrai la notte che me spersi in mezzo ar bosco…”, ma soprattutto il commento a questa poesia che fece il cardinale Albino Luciani, nel suo famoso libro “Illustrissimi”. Per tutti, però, la domanda forse più importante, è quella che Gesù fece ai suoi discepoli durante la tempesta che li colse, in barca, al calar della sera: “Perché avete paura? Non avete ancora fede?”. Come ha detto papa Francesco, rivolto al vuoto di piazza San Pietro, sotto la pioggia, “l’inizio della fede è saperci bisognosi di salvezza” e sapere che c’è Chi “porta il sereno nelle nostre tempeste”.

3 commenti

  • Finalmente qualcuno che frena tutti gli ” Andrà tutto bene” un po’ troppo aleatori. Anche a me sembra un rifugiarsi nel mondo infantile delle fiabe che stride davanti alla realtà dolorosa di chi ha perso un familiare, un amico. Forse sarebbe meglio dire “Speriamo vada tutto bene” ma per proteggersi, forse anche l’informazione dovrebbe essere un po’ meno occulta. Qui a Cortina è tutto un mistero e … si sa che la poca informazione genera paura. I casi stanno crescendo dai pochi comunicati del Sindaco, sono 40 al 27 marzo u.s. ma soprattutto, chi una volta alla settimana esce per necessità, non sa in quali zone sia preferibile non transitare. Per assurdo, si potrebbe abitare nella stessa casa di turisti arrivati da zone rosse, il giorno antecedente il decreto, magari positivi al Corona virus ed esserne totalmente all’oscuro (loro stessi).

  • Un articolo che fa meditare. Grazie a chi lo ha scritto

  • Veramente saggio e bellissimo!

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