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venerdì 26 Aprile 2024,

Il primario di Pneumologia: «Nessuno è immune. Quest’epidemia sta cambiando alcuni parametri di giudizio»

L'intervista al dottor Rodolfo Muzzolon: «Del Coronavirus spaventa l'insidiosità e l’assenza di un vaccino che ci possa proteggere. Ma siamo preparati e il nostro punto fermo è sin dall'inizio stato quello di garantire assistenza professionale e dignitosa a tutti». (di Martina Reolon)

Da un giorno all’altro si sono trovati ad affrontare un’ondata violenta, spaventosa, inattesa nelle dimensioni. Per Rodolfo Muzzolon, direttore del Dipartimento Area Specialistica e dell’Unità operativa complessa di Pneumologia dell’Ospedale San Martino di Belluno, e per i suoi colleghi, l’ultima settimana di febbraio ha segnato la fine della normalità e l’inizio di un periodo di emergenza mai vissuto prima. Mascherine sul volto, rischio estremo, orari di lavoro interminabili, grande professionalità e passione. ll Covid-19 ha cambiato la nostra quotidianità, ma non quella di medici, infermieri e di tutti gli operatori sanitari. Che sono in prima linea con un punto fermo, come evidenziato più volte in questa intervista dal primario Muzzolon, 60 anni: «garantire assistenza professionale e dignitosa a tutti».

Dottor Muzzolon, come state affrontando la situazione attuale? Soprattutto per quanto riguarda la terapia intensiva? «L’ospedale è stato riorganizzato distinguendo tra aree Covid ed aree non Covid. Questo ha significato uno sdoppiamento di alcuni reparti come la Pneumologia, la Medicina e la Geriatria, i cui pazienti non Covid sono ospitati nei reparti chirurgici. La Neurologia ha ceduto il suo spazio all’area Covid rinunciando ad alcuni posti letto. La Rianimazione è interamente dedicata ai pazienti infetti mentre per tutti gli altri è operativa la Terapia intensiva di Feltre. L’attività chirurgica è stata fortemente ridimensionata. In particolare la Pneumologia ha dedicato 16 posti letto del reparto contiguo alle Malattie infettive al trattamento dei pazienti affetti da Covid-19 con necessità di supporto ventilatorio non invasivo, che consente di evitare in una significativa percentuale di pazienti il ricorso alla ventilazione invasiva, che viene effettuata in Rianimazione, e che si rende necessaria nei casi più gravi. La nostra attività è in stretto contatto con quella dei colleghi delle Malattie infettive, che individuano la terapia medica antivirale ed antinfiammatoria più appropriata. Questo lavoro di équipe fra Pneumologi, Infettivologi e Rianimatori ha sinora consentito di poter offrire a tutti i pazienti le cure più adeguate alle loro necessità, senza dimenticare il supporto fornito dai colleghi Geriatri e Internisti, che accolgono nei loro reparti i pazienti in via di guarigione o con sintomatologia più attenuata e che consentono di decongestionare i reparti come il nostro a maggior intensità di cura».

Ci racconti i primi giorni. Prima che l’epidemia scoppiasse anche in provincia, avevate avuto delle avvisaglie? «Non si può negare che questa epidemia abbia colto di sorpresa tutti i paesi che ha colpito e messo alla prova i diversi sistemi sanitari. Succede sempre con le vere pandemie. Quando l’emergenza è iniziata, nella nostra provincia il nostro primo intento è stato quello di organizzare dei percorsi di assistenza che permettessero di assistere tutti i pazienti, avendo in mente il quadro peggiore possibile. La Direzione Aziendale e i diversi Dipartimenti interessati hanno contribuito tutti allo sforzo. Sono stati giorni di riunioni pluriquotidiane che si sono svolte con grande professionalità, nonostante il comprensibile senso di incertezza e vulnerabilità. Il nostro punto fermo, però, è sempre stato quello di garantire assistenza professionale e dignitosa a tutti».

Come è stato riorganizzato il lavoro nel reparto di Pneumologia?
«La pneumologia ha un’equipe di 6 medici compreso il sottoscritto. Tre di noi si alternano sui pazienti Covid positivi e altri tre sui pazienti pneumologici non infetti, che attualmente sono ospitati in un settore del reparto di Chirurgia. Gli infermieri della Pneumologia sono stati parimenti suddivisi e integrati da personale afferente da altri reparti e servizi. Nell’area dedicata ai pazienti Covid sono state messe in atto delle procedure rigorose per evitare la diffusione del contagio fra gli operatori sanitari del reparto e all’interno dell’ospedale».

L’interno dell’Unità operativa complessa di Pneumologia di Belluno.

A livello di personale, di organico, siete in sofferenza? Com’è la situazione dal punto di vista dei dispositivi di protezione individuale (mascherine, guanti, tute… )? «Il personale è assolutamente encomiabile. Mi permetta anzi di ringraziare tutti gli operatori, Oss, infermieri e medici che, nonostante la paura di contrarre l’infezione e la mole di lavoro, dimostrano una abnegazione e un senso del dovere ammirevoli. Siamo dotati di quanto necessario e non c’è stato nessun medico o infermiere che sia risultato positivo al virus in reparto. Il lavoro non manca! Ed è innegabile che si tratti di un impegno faticoso. Ma in generale questo è il lavoro del medico anche in assenza del Coronavirus. La situazione sembra in via di stabilizzazione e auspicabilmente i ricoveri dovrebbero diminuire con il prolungarsi delle pratiche di isolamento sociale».

Parliamo di questo virus: lei, in quanto pneumologo, si trova ad affrontarlo tutti i giorni. Quanto è pericoloso e quanto spaventa anche voi medici? «Spaventa la sua insidiosità e l’assenza di un vaccino che ci possa proteggere. Ma il nostro lavoro è proprio quello di assistere questa tipologia di pazienti. La contagiosità della malattia, peraltro inferiore a malattie ben note come il morbillo, è solo un elemento che ci obbliga a lavorare mettendo in atto una serie di procedure che ovviamente allungano i tempi dell’attività assistenziale e la rendono fisicamente più gravosa; ma medici, infermieri e Oss sono preparati a questo».

Dal suo osservatorio, quali sono i soggetti più a rischio nello sviluppare forme gravi di coronavirus? «Come riportato nei media, sono più a rischio gli anziani polipatologici. Attenzione però: la parola anziano forse consola i lettori giovani, ma fino a poco prima della pandemia eravamo abituati a considerare chi moriva a 80 anni come uno deceduto in età non molto avanzata. Questa epidemia sta contribuendo a cambiare alcuni parametri di giudizio».

Quali sintomi devono preoccupare una persona? Mi spiego meglio: quando, se ci si sente poco bene, è il caso di sospettare di aver contratto il Covid-19? «La malattia inizia generalmente con tosse e mal di gola, cui segue l’insorgenza di febbre, accompagnata da stanchezza e dolori muscolari diffusi; in alcuni casi, dopo circa una settimana, compare mancanza di fiato, che spesso è la spia di insorgenza di polmonite. In questi casi contattare il medico di famiglia e seguire le indicazioni fornite dai numeri utili». Martina Reolon

1 commento

  • Bravo Rodolfo e bravi ed encomiabili medici e personale infermieristico. State compiendo la vera missione del MEDICO. Sono sempre vicino all’ospedale di Belluno, avendo lavorato per 27 anni in Ortopedia. Ora vi seguo dalla Puglia e vi abbraccio con affetto
    Michele Schiavone

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