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venerdì 19 Aprile 2024,

Da Zoldo a Londra, il viaggio di un altare

È una storia affascinante, piena di colpi di scena e davvero emozionate quella del Flügelaltar realizzato a cavallo fra il XV e XVI secolo dalla bottega dell’artista brissinese Ruprecht Potsch per la chiesa di San Floriano di Pieve di Val di Zoldo ed ora conservato al Victoria&Albert Museum di Londra.

È una storia affascinante, piena di colpi di scena e davvero emozionate quella del Flügelaltar realizzato a cavallo fra il XV e XVI secolo dalla bottega dell’artista brissinese Ruprecht Potsch per la chiesa di San Floriano di Pieve di Val di Zoldo ed ora conservato al Victoria&Albert Museum di Londra. Ed è una storia inedita, frutto di anni di ricerche fra siti diversi, distribuiti tra la provincia di Belluno, Torino e l’Inghilterra. Risultato, ancora, di accurate ricerche archivistiche. Una vicenda da romanzo giallo che, venerdì 7 agosto, è stata raccontata proprio nella chiesa di Pieve da due delle tre protagoniste della scoperta, Marta Mazza, già alle dipendenze della per la Soprintendenza per i beni architettonici ed il paesaggio per le province di Venezia, Belluno, Padova e Treviso, ed ora essa stessa Sovrintendente nelle Marche, e la storica dell’arte e ricercatrice Letizia Lenzi. Un lavoro che entro l’anno troverà posto in un’apposita monografia edita dalla Provincia di Belluno.

L’appuntamento di venerdì “Da Zoldo a Londra: il misterioso viaggio dell’antico Flügelaltar della chiesa di San Floriano” era inserito nell’ambito della terza edizione del festival “Arte e musica tra Pelmo e Civetta”. Un altare imponente, quello annunciato nel titolo della serata, alto quasi sette metri, un monumento artistico di assoluta importanza del quale si erano perse le tracce. Il coldcase comincia ad essere riaperto nel 2006, quando la dottoressa Marta Mazza, allora ispettrice per la Sovrintendenza in Veneto, fa un sopralluogo nella chiesa di San Tommaso, di Pozzale di Cadore. E qui vede due statue che, per apparire di marmo, erano state imbiancate. Ne è incuriosita perché la fattura dei santi Pietro e Paolo non si integra con il contesto dell’altare settecentesco. L’intuizione che quel bianco nascondesse qualcosa di più antico e prezioso dà la stura al restauro portato a termine da Milena Dean che porta alla luce due statue lignee di eccezionale fattura e che conservano ancora, seppure parzialmente, l’antica cromia.

Più o meno negli stessi anni negli archivi della chiesa arcidiaconale di Pieve di Cadore viene rinvenuto un contratto per la realizzazione di un altare con l’artista Potsch. Un manufatto che in seguito, per esigenze di rinnovamento della chiesa ed in particolare dell’abside, viene smembrato e le due statue dei santi Pietro e Paolo finiscono a Pozzale. E la Madonna presente nell’altare e raccontata dalla carte d’archivio? Per risolvere questo enigma viene in soccorso il lavoro di un’altra studiosa che aveva collaborato alla schedature delle opere della mostra “A nord di Venezia” (2004-05) che visti i due santi di Pozzale brillare di luce nuova, si accorge che essi mostrano evidenti analogie con una statua della Vergine conservata a Torino. Anche in questo caso è la verifica in loco – in Piemonte – a permettere di collocare al posto un’altra tessera del puzzle: la Vergine torinese è la statua realizzata dalla bottega di Potsch per l’arcidiaconale di Pieve di Cadore ed acquistata dal marchese D’Azeglio, dal 1891 si trova nei Musei Civici di Palazzo Madama, sotto il nome di Madonna d’Azeglio.

E quanti l’avevano studiata, intravvedono a loro volta delle analogie con un altare londinese. E consigliano il gruppo di studio di recarsi nella capitale inglese, al Vicoria&Albert Museum perché lì si trova un manufatto che potrebbe contribuire a ricostruire la composizione delle tre figure rinvenute: la Madonna stessa ed i santi Pietro e Paolo di Pozzale che a questo punto è ormai certo, in origine erano parti di un unico altare. La visita a Londra è illuminante. Di fronte a loro le ricercatrici partite da Belluno si trovano un’opera stupenda. E giungono a queste conclusioni: l’altare londinese viene realizzato da maestranze molto vicine a quelle che hanno lavorato a Pieve di Cadore, forse addirittura appartengono alla stessa bottega; le predelle presentano la medesima impaginazione anche se quella di Londra appare più pregevole; le caratteristiche delle parti scultoree
suggeriscono una derivazione delle opere londinesi da quelle cadorine. L’altare di Londra ha statue di Maria, San Floriano – patrono della Pieve – e San GiovanniBattista; le stesse figure che ora nella chiesa di Pieve di Zoldo compaiono nella pala dietro l’altar maggiore.

E sono ancora un volta i documenti d’archivio a venire in soccorso: sono essi a certificare che il 4 luglio 1502, l’arcivescovo di Corinto Giulio Brocheto sostituto di Bernardo Trevisan vescovo di Belluno, inaugura in San Floriano di Pieve di Zoldo l’altar maggiore “cum ornamenta lignei germanici operis elegantis”. Un’origine che a Londra non conoscono, visto che nella didascalia che accompagna il manufatto si legge che probabilmente l’altare proviene dalla chiesa di Chiusa, in provincia di Bolzano. Una notizia strana, perché in quella chiesa non si venerano alcuna delle tre figure presenti nell’opera. Su come l’altare sia potuto viaggiare da Pieve di Zoldo a Londra, la dottoressa Mazza ha avanzato un’ipotesi suffragata da una foto. Quest’ultima, conservata fra i documenti dell’artista zoldano Valentino Panciera Besarel, mostra l’altare presente in un campiello veneziano. E il Besarel, che aveva contatti artistici e commerciali anche oltre Manica, potrebbe stato il tramite per vendere quel manufatto che non piaceva più, perché il gusto era cambiato. E con i soldi incamerati la Pieve di Zoldo avrebbe potuto commissionare nuovi lavori.

Ora Zoldo e la sua gente non possono pretendere che l’altare venga restituito, perché esso è stato venduto legittimamente. Ma la sua storia ed il suo pregio costituiscono comunque motivo d’orgoglio per la valle. Che, questo sì, probabilmente chiederà almeno di modificare la didascalia presente nel museo perché i visitatori sappiano che quello splendido altare ligneo, una volta, riluceva nell’antica Pieve di San Floriano di di Zoldo. (G.S.)

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