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venerdì 26 Aprile 2024,

Violenza di genere, Belluno Donna: «Un caso ogni due giorni e mezzo»

Anna Cubattoli ha fatto il punto della situazione in provincia durante una videoconferenza organizzata dal Comune di Ponte nelle Alpi. Flavia Monego (consigliera di parità): «Anche nel Bellunese le donne subito mobbing e vengono screditate nel mondo del lavoro».

Il Covid ha fermato molte cose, ma non, purtroppo, la violenza maschile nei confronti delle donne. Una ricerca della rete nazionale delle case e dei centri antiviolenza – che comprende 80 realtà in tutto il paese, tra cui anche l’associazione Belluno Donna, che ne è socia fondatrice – ha evidenziato che nel primo mese di lockdown sono state 2.867 le donne che si sono rivolte ai centri per denunciare episodi di maltrattamento. Il 74,5% in più rispetto allo stesso periodo del 2018, quando il numero si era attestato a 1.643. «Sarà necessario capire se si tratta di un aumento effettivo della violenza o di una maggiore emersione della violenza stessa», ha evidenziato Anna Cubattoli, presidente di Belluno Donna, che ieri sera, durante una videoconferenza sulla piattaforma Zoom organizzata con il Comune di Ponte nelle Alpi, ha presentato i dati relativi alla violenza di genere in territorio provinciale. «Questo 2020 è davvero molto difficile», ha aggiunto Cubattoli, «l’isolamento imposto e le norme sanitarie a cui ci atteniamo scrupolosamente hanno reso tutto più complesso. Così come hanno acuito la sofferenza delle donne vittime di violenza. Noi andiamo avanti e cerchiamo di sopperire con gli aiuti economici: in questo Belluno Donna è supportata da contributi regionali, da donazioni di enti pubblici, da parte di privati e aziende, che ci hanno messo nelle condizioni di continuare a pagare affitti e bollette, di distribuire buoni spesa, per far sentire queste donne meno disperatamente sole».

Belluno Donna non ha ancora potuto elaborare i dati di questo 2020 in modo che siano comparabili con gli anni precedenti. «A breve avremo comunque un quadro valutabile», ha detto, «grazie anche all’Università di Trieste, che sta studiando il significato dei numeri relativi alla violenza di genere durante la pandemia». Ma c’è una certezza: i numeri evidenziati da Belluno Donna, dalla sua costituzione ad oggi, sono allarmanti. «Nel 2019 siamo state contattate da una donna “nuova”, ossia che non aveva denunciato prima episodi di violenza, ogni due giorni e mezzo», ha spiegato la presidente. «Dal 2004 abbiamo seguito 1.073 donne, il 75% italiane e il 25% di diverse nazionalità. Gli autori delle violenze sono uomini che fanno parte della sfera affettiva e amicale, uomini conosciuti. Gli sconosciuti rappresentano soltanto il 2%. L’autore delle violenze è italiano nel 83% dei casi. Quindi, parte delle donne straniere subisce soprusi da italiani».

Cubattoli ha ricordato che la violenza maschile nei confronti delle donne è un fenomeno trasversale, che interessa tutti gli strati sociali e tutti i paesi del mondo. E che stravolge la vita a una donna su tre. «Grave problema sociale che in alcune epoche è passato inosservato», ha proseguito. «Solo con la Convenzione di Instanbul del 2011 si è riconosciuto che la violenza di genere è una violazione dei diritti umani, punibile penalmente. Non è solo un fatto privato, ma grave problema culturale».

Belluno Donna nasce nel 2003, con il fondamentale aiuto del Comune di Ponte nelle Alpi, che da allora concede all’associazione i locali e la esenta dal pagamento di affitti e bollette. L’Associazione ha aperto il Centro Antiviolenza il 1° dicembre 2004. «Luogo dove convivono assieme il progetto politico di cambiamento culturale e una pratica di supporto e accoglienza delle donne che subiscono la violenza», ha continuato. «Con l’aiuto di operatrici formate, possono ricostruire la loro dignità e autonomia. Viene rispettato il diritto all’autodeterminazione, ossia poter decidere della propria vita. Sono garantite segretezza e anonimato. Le operatrici offrono ascolto, sostegno e forniscono informazioni specifiche affinché ogni donna trovi le soluzioni più adatte. Avvocate volontarie offrono consulenza legale gratuitamente». 

Per quattro anni Belluno Donna ha gestito una casa rifugio segreta, ospitando 16 donne e 11 minori. L’associazione si occupa inoltre di due Case rifugio di tipo B: casa Belluno-Donna (operativa dal 2009 e che, fino al 31 dicembre 2019, ha dato accoglienza a 19 donne e 14 minori) e Casa Silvia (operativa dal 2020, ospita 3 donne), che permettono di accogliere donne che si rivolgono al Centro in quanto vittime di violenza, per le quali il disagio abitativo-lavorativo-economico è preponderante, e non mettono a rischio, nell’immediato, la loro incolumità fisica.

E proprio sui diversi tipi di violenza si è concentrata l’attenzione della Cubattoli: non c’è solo quella fisica, ma anche quella psicologica e la violenza economica. «Quest’ultima non è difficile da riconoscere», ha evidenziato, «e risente della visione stereotipata dei ruoli all’interno ella famiglia. La legge del 1975 ha abolito la figura del capo famiglia, ma è ancora culturalmente presente. Sono molte le donne che non hanno mai avuto un lavoro o sono state costrette a lasciarlo. Non dimentichiamo che una certa autonomia economica facilita il percorso di uscita dalla violenza. Per questo nel 2015 abbiamo istituito un percorso di avviamento al lavoro. Fino al 2019 sono state 28 le donne che hanno usufruito di questo sportello e per 13 di esse abbiamo organizzato un percorso di avviamento. Dalla costituzione dello sportello Belluno Donna ha partecipato a diversi bandi regionali per ottenere finanziamenti che permettano di aiutare le donne prive di risorse conomiche. Questi fondi ci sono serviti per pagamenti di affitti, di alberghi (per le donne che avevano denunciato e non potevano tornare a casa), di mense e libri scolastici, di buoni spesa di diverso tipo». 

Il territorio bellunese è svantaggiato sotto diversi punti di vista. «Una difficoltà è quella degli spostamenti, ostacolo per tutti e, tanto più, per le donne che non hanno un lavoro, non hanno soldi e sono controllate a vista da mariti e compagni», ha fatto presente Cubattoli. «Negli anni abbiamo quindi aperto diversi sportelli in località strategiche, agli imbocchi nelle valli: il primo è stato quello di Feltre, nel febbraio 2016. Se dal 2004 al 2015 le donne di questo territorio che ci hanno contattato tramite lo sportello di Ponte nelle Alpi sono state 91, dal 2016 al 2019, in un lasso di tempo minore, sono state 105. Forti di questi dati abbiamo aperto uno sportello anche a Belluno città nel 2018, grazie al Comune che ha partecipato con noi a un bando regionale e grazie al Comitato d’Intesa che ci ha concesso l’uso esclusivo degli spazi negli orari di apertura dello sportello. Ultimo in ordine di tempo, e sempre grazie alla partecipazione a un bando regionale, a febbraio di quest’anno, lo sportello a Sedico, per avvicinarci alle donne della vallata agordino e della destra Piave. Preziosa è tuttora la collaborazione con la Sedico Servizi, che ci concede gli spazi. Ci sono alcune zone che, purtroppo, al momento rimangono scoperte, come l’Alto Cadore».

Belluno Donna porta avanti un’importante attività di prevenzione delle scuole: nel 2014 è stata svolta una ricerca distribuendo un questionario agli studenti delle scuole superiori di tutta la provincia. «Abbiamo chiesto quale fosse la loro percezione della violenza, indagato su stereotipi e pregiudizi ancora esistenti e persistenti», ha affermato Cubattoli. «I risultati di questa ricerca sono stati abbastanza confortanti e dal 2014 siamo presenti nelle scuole, soprattutto del Feltrino, per progetti di “peer education”, educazione tra pari. Fondamentali anche le iniziative “young to young”, che prevedono di coinvolgere i giovani affinché siano parte attiva nel cambiamento culturale che riguarda le tematiche di genere». 

Da febbraio 2019 Belluno Donna è uno dei soggetti attuatori di un progetto “Stop violenza e disparità di genere”, finanziato da Fondo Europeo di Sviluppo Regionale nell’ambito del programma Interreg V I-A Dolomiti Live, che interessa l’area dell’Alto Bellunese, della Val Pusteria e del distretto di Lienz. Sono partner di progetto il Frauenzentrum Osttirol di Lienz e il Servizio casa delle donne della Comunità Comprensoriale della Val Pusteria. «Nella zona dell’Alto Cadore sono previsti laboratori su formazione presso le classi superiori», ha detto ancora, «e incontri di sensibilizzazione con le comunità locali. Non dimentichiamo la mostra a Pieve di Cadore “Come eri vestita?”, per smontare i miti che giustificano la violenza in base all’abbigliamento della donna».

Dal 2019 Belluno Donna ha iniziato a occuparsi dell’accoglienza delle donne migranti vittime di violenza, che possono portarsi dietro traumi di soprusi subite nel loro paesi: mutilazioni genitali, matrimoni forzati, violenze lungo la rotta migratoria, violenza di gruppo, tratta e prostituzione. «Un compito di certo non facile», ha riflettuto Cubattoli, che ha poi voluto ringraziare tutte le volontarie e le operatrici che dedicano tempo e tanto lavoro a sostegno delle donne maltrattate.

Alla videoconferenza è intervenuta anche Flavia Monego, nuova consigliera di parità in provincia. «C’è un ambito in cui la violenza sulle donne è molto presente, anche in provincia di Belluno: quello del lavoro», ha detto. «Mi è stato affidato l’incarico di consigliera di parità da circa un mese e non rimango sconvolta dalla situazione a livello territorio: vedo quotidianamente casi di mobbing e, in generale, la tendenza diffusa a screditare le donne in ambito lavorativo. C’è stata una grande involuzione negli ultimi anni per la donna nell’ambito del lavoro e non solo. Se pensiamo alle conquiste sociali degli anni Settanta, purtroppo sono stati fatti grandi passi indietro. Molte subiscono mobbing e discriminazioni sul lavoro, ma poche denunciano, perché hanno paura di subire ritorsioni, specie se hanno un contratto in scadenza. E c’è da dire che le donne che decidono di denunciare vengono isolate dai colleghi e questo rende la loro situazione in ufficio molto pesante. Inoltre, si favorisce la componente maschile nei salari e nei contratti a tempo indeterminato. Il fenomeno danneggia non solo le donne, ma l’intero corpo sociale».

E sulla violenza di genere in ambito lavorativo il Comune di Ponte nelle Alpi ha assicurato di volersi attivare affinché il fenomeno non continui a restare poco conosciuto. Lo ha detto chiaramente Sabrina Dassiè, consigliere alle Pari opportunità del Comune. «Il nostro intento è sostenere le donne costrette a sopportare soprusi e fortificare il loro coraggio, affinché esse, con i loro figli, possano avere una vita diversa, dove la libertà e dignità sono valori imprescindibili».

«Sono orgoglioso che la nostra comunità stia portando avanti, con la nostra delegata Dassiè e non solo, tante iniziative contro l violenza di genere», ha messo in risalto il sindaco di Ponte nelle Alpi, Paolo Vendramini. «C’è tutta un’area sociale e della cultura, dove operano soprattutto donne, che mostra tutti i giorni grande passione e attenzione, oltre alla capacità di andare incontro alle esigenze della comunità». Vendramini ha poi evidenziato come sia necessario che, a livello territoriale, le amministrazioni locali siano unite nel dare sostegno e aiuto a realtà come Belluno Donna. «La mia non è una critica, ma una sollecitazione verso quelle amminisatrazioni che devono fare delle scelte e discutere su quelle che sono le problematiche», ha continuato. «Dobbiamo assolutamente fare squadra. A Palazzo Piloni come consigliere, ho proposto di utilizzare i Fondi di confine e il Fondo Welfare per sostenere l’unico centro antiviolenza che abbiamo a livello territoriale. Così come bisogna lavorare sulle Commissioni pari opportunità all’interno dei Comuni. Importante è anche la sensibilizzazione nei confronti dei più giovani».

Martina Reolon

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