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venerdì 26 Aprile 2024,

La frana che 250 anni fa creò il lago di Alleghe: il libro di Fontanive

Giorgio Fontanive pubblica, nell'anniversario, la seconda edizione riveduta e ampliata del libro «La formazione del Lago di Alleghe».

Il nuovo lavoro di Giorgio Fontanive è un evento quasi obbligato: si tratta del libro «La formazione del Lago di Alleghe, studio storico-geologico», è la seconda edizione dell’opera che vide la luce negli anni ’93-’94, oggi rivista e ampliata in occasione del 250° anniversario del disastro accaduto nel 1771. Un evento quasi obbligato, dicevamo, perché nella biografia di Giorgio Fontanive – sue numerose pubblicazioni relative alla vallata agordina – c’è un particolare che non può passare inosservato: l’autore del libro è nato proprio a Masarè di Rocca Pietore, sul macereto – Masarè significa questo – della frana del 1771 che in due momenti portò alla nascita del Lago di Alleghe.

Riassume Giorgio Fontanive nell’introduzione: «Duecentocinquant’anni or sono, nel 1771, per una serie di cause naturali il monte Piz, insignificante propaggine del Monte Forca-Sasso Bianco, precipitava disastrosamente a Valle sconvolgendo la vita delle popolazioni locali». Fontanive è molto attento e sensibile agli aspetti umani che caratterizzano la montagna, anche se la competenza e la passione per la geologia lo guidano a condurre analisi tecniche di natura prettamente scientifica. La sensibilità verso le persone, che poi in questo caso sono gli antichi abitanti dell’area dove l’autore è nato, lo porta a comporre la dedica del volume: «Alle 53 vittime dei tragici eventi del 1771 e agli scampati degli altri villaggi coinvolti, costretti ad abbandonare le proprie abitazioni invase dalle acque di quello che andava diventando il nuovo Lago di Alleghe». Da quella tragedia nacque un sito tra i più belli delle Dolomiti e del mondo intero.

Il volume, 192 pagine con moltissime immagini a colori e in bianco e nero, in gran parte di proprietà dell’autore che è un formidabile collezionista, si articola in sei capitoli. Il primo proietta uno sguardo su analoghi fenomeni franosi naturali che si sono verificati sul versante meridionale delle Alpi; il secondo capitolo si intitola «Lineamenti geologici generali e analisi dell’evento»; il terzo «Inquadramento storico del territorio»; il quarto capitolo «Diario di quel lontano e tragico Anno Domini 1771»; il quinto capitolo indaga la storia del Lago di Alleghe attraverso i riferimenti bibliografici del XVIII e XIX secolo ed è suddiviso in due parti: «Le testimonianze storiche» e «250 anni di vita»; il sesto capitolo titola «L’alluvione del 4 novembre 1966 e l’uragano del 29 ottobre 2018», quello che tutti ricordiamo come la tempesta Vaia. C’è anche un’appendice: «Nascita e sviluppo del settore turistico alberghiero sulle sponde del Lago di Alleghe 1897-1960» prima della bibliografia che presenta una giunta a integrare il lavoro fatto per la prima edizione. All’inizio del volume scritti di Domenico Rudatis, del sindaco di Alleghe Danilo De Toni e una nota dell’autore, oltre all’introduzione.

A pagina 69 la ricostruzione dell’avvenimento, efficace dal punto di vista narrativo: «In quell’11 gennaio del 1771, l’oscurità era calata ormai da ore quando la montagna si mosse! Da giorni, i segni premonitori dell’evento avevano insinuato negli animi di alcuni capifamiglia sospetti e timori: sotto questa spinta i più previdenti – foraggiati gli animali – erano andati temporaneamente via, trovando ospitalità presso i parenti nei villaggi più settentrionali. Nonostante i presagi di un possibile, incombente disastro, quella notte tutti dormivano placidamente quando “ad un tratto un rombo, crescente, a guisa di tuono prolungato”, scrive lo Stoppani nel suo Il Bel Paese, scosse la vallata. Poche decine di secondi separarono l’inizio del movimento franoso dall’impatto sul fondovalle; gli abitanti di Riéte, Marìn e Fusine ebbero solo il tempo di percepire il sussultare del terreno prima di rendersi conto che la morte stava calando, rapida ed inesorabile, verso le loro case». Ai bellunesi non può non richiamare quel che accadde, per colpa dell’uomo, a Longarone il 9 ottobre 1963, anche se nel disastro del Vajont la distruzione fu portata dall’acqua, non dalla roccia.

Fontanive propone una mappa con l’efficace ricostruzione del movimento franoso, sono indicati anche i villaggi che rimasero sommersi dal crollo, dove decine di persone morirono. La formazione del Lago, dovuta allo sbarramento del Cordevole, sconvolse gli equilibri della zona: Fontanive calcola che lo sbarramento del torrente risultasse alto una novantina di metri. Le acque colmarono quel bacino in circa tre mesi, giungendo a minacciare addirittura l’abitato di Caprile che si trova 5 chilometri più a Nord rispetto al luogo della frana. Poi, anticipa Fontanive già nel risvolto di copertina, «il torrente trovò la nuova via di fuga tra gli anfratti del macereto e il livello si stabilizzò alla quota approssimativa di 1000 metri dando origine a un grande bacino di circa 17 milioni di metri cubi».

Furono interessate dal disastro non soltanto le tre grosse borgate che abbiamo già citato, ma anche alcuni villaggi risparmiati dalla frana eppure invasi dalle acque, tanto da dover essere via via abbandonati: Peron, Costa, Soracordevole, Torre, Sommariva. Tutto questo avveniva ai piedi dell’immensa parete verticale del Monte Civetta, che da allora ha un lago nel quale rispecchiare a strapiombo le sue più alte crode, 2.220 metri più in basso.

Luigi Guglielmi

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