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venerdì 26 Aprile 2024,

Belluno, celebrata la Giornata del sacrificio del lavoro italiano nel mondo

L’Abm non dimentica Marcinelle e tutte le tragedie sul lavoro. Toccante la poesia dialettale di Rino Budel e il messaggio del sindaco di Charleroi, Paul Magnette.

Era l’8 agosto del 1956 quando un incendio scoppiato in uno dei pozzi della miniera di carbon fossile del Bois du Cazier (Marcinelle – Belgio) provocò un disastro che segnò per sempre la storia dell’emigrazione italiana. 262 vittime, provenienti da 12 diversi paesi, 136 italiani. Tra questi un bellunese: Dino Della Vecchia. La tragedia, con il suo dolore, permise tuttavia di far luce sulle deplorevoli condizioni di lavoro nelle miniere, contribuendo finalmente all’introduzione delle maschere antigas. Per il 65° anniversario di questa immane tragedia e per la «Giornata del sacrificio del lavoro italiano nel mondo» l’Associazione Bellunesi nel mondo ha organizzato nella mattinata di oggi, domenica 8 agosto, una semplice commemorazione davanti al monumento dell’emigrante presso la sede Abm in via Cavour 3 a Belluno. Presenti i gagliardetti delle Famiglie ex emigranti e d’Italia, diverse Amministrazioni comunali del Bellunese e il Gruppo alpini della città di Belluno.

«Siamo qui per ricordare, per non dimenticare – le parole del presidente dell’Associazione Bellunesi nel mondo, Oscar De Bona – il sacrificio dei nostri bellunesi, veneti e italiani che nel corso di tutto il Novecento sono emigrati e hanno trovato difficoltà, sofferenza, a volte anche la morte, lontano da casa. E tutto questo per dare un futuro migliore alla propria famiglia e al nostro Paese, l’Italia».

La commemorazione ha visto l’intervento anche di Francesca De Biasi, assessore del comune di Belluno: «Prima, mentre cantavamo l’Inno d’Italia mi sono soffermata sulla strofa che dice “L’Italia chiamò, siam pronti alla morte”. E mi chiedo sempre “Ma chi tra di noi è pronto alla morte?”. Quegli italiani sono stati pronti alla morte, perché andandosene volevano dare un futuro all’Italia. Credo quindi che i sacrifici che siamo chiamati a fare anche adesso ci portino a pensare al prossimo e al futuro».

Non sono poi mancate le testimonianze dirette di chi ha fatto una vita all’estero come minatore. Ecco quindi quella di Daniele Garlet: «Ho cominciato a lavorare in galleria a Glarus, Svizzera, come macchinista. Dopo aver preso la qualifica di minatore sono andato a Mattmark. Quanta fatica ho fatto nemmeno il Padre eterno lo sa. La mia esperienza di minatore mi ha portato successivamente in Sud America, in Colombia. Sono stati anni tragici. I minatori appartenenti alla squadra prima del mio arrivo erano tutti morti a causa di incidenti nelle gallerie. Tra questi uno era da San Gregorio nelle Alpi e un altro da Lamon».

Lavoro duro quello del minatore. Un’altra testimonianza è stata portata da Luigi Case: «Ho cominciato a lavorare nei cantieri a 15 anni e a 17 anni ho intrapreso il lavoro di minatore in Svizzera, per poi andare in Nuova Zelanda e un po’ in tutto il mondo. Alla fine della mia carriera ho lavorato al Cern di Ginevra, per realizzare la galleria dedicata all’acceleratore nucleare, e in Svizzera per la costruzione del traforo del San Gottardo. Ricordo come in Nuova Zelanda abbiamo preso più acqua che soldi. Pioveva sempre. Era dura».

I vice presidenti Abm Patrizia Burigo e Rino Budel hanno letto rispettivamente le lettere pervenute dall’assessore ai Flussi Migratori della Regione Veneto, Cristiano Corazzari, e dal presidente della Regione Veneto, Luca Zaia. E il direttore della rivista “Bellunesi nel mondo”, Dino Bridda, ha interpretato una toccante poesia dialettale, scritta da Rino Budel, dedicata proprio ai minatori di Marcinelle: «…son tornà da Marcinelle. Col vestito de la festa. Co le scarpe tute lustre. E un cuscino sot la testa. Col sonar de la campana, al paese i me spetea. Da quel posto via lontan, altri in spala i me portea».

Dura la vita del minatore. Con la morte sempre alle spalle. Sono decine di migliaia gli italiani che nel dopoguerra emigrarono in Belgio per lavorare nelle miniere. Tutto questo come conseguenza di un accordo tra il Belgio e l’Italia. Il famoso accordo «Uomini in cambio di carbone». E proprio quest’anno ricorre il 75° anno di questa firma. L’Associazione Bellunesi nel mondo ha voluto far ascoltare al pubblico presente il messaggio del sindaco di Charleroi, Paul Magnette: «Cari amici italiani, sono passati 75 anni da quando fu sottoscritto un accordo incredibile tra Belgio e Italia. Furono scambiati uomini con carbone. Ma oggi, due o tre generazioni dopo, la presenza italiana nel nostro Paese ha un valore inestimabile. Voi non ci avete solo aiutato a costruire la nostra ricchezza, voi avete portato anche il sole dell’Italia. Certe generosità sembrano fatte per incontrarsi, così nascono i matrimoni più belli». Certo per gli italiani emigrare ha comportato anche dure conseguenze di razzismo e discriminazione, come sottolineato sempre da Magnette: «Di certo ci ricordiamo anche dei primi tempi dell’emigrazione italiana in Belgio, così dolorosi. Le commemorazioni esistono proprio per ricordarci la realtà della miniera, delle baracche, della miseria e talvolta anche del razzismo. Non abbiamo il diritto di dimenticare tutto questo. Oggi voglio infatti dedicare un pensiero molto commosso a tutte le donne e gli uomini che hanno dovuto pagare il prezzo dell’ingiustizia».

A conclusione della commemorazione non è mancata una riflessione spirituale da parte del diacono Francesco D’Alfonso, direttore della Migrantes di Belluno, e la benedizione del cero. Una fiamma posizionata davanti al monumento degli emigranti. Una fiamma rossa che rappresenta il sacrifico di quanti emigrano, di quanti sono riusciti a tornare, di quanti purtroppo non ce l’hanno fatta e di cui è doveroso il ricordo, il rispetto e la memoria.

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