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giovedì 25 Aprile 2024,

Papa Luciani proclamato Beato, la santità della sua vita proposta come esempio

Si è svolta questa mattina in piazza San Pietro a Roma la solenne celebrazione presieduta da Papa Francesco a cui hanno partecipato anche molti pellegrini di Belluno-Feltre.

La pioggia battente non ha scoraggiato le migliaia di persone che questa mattina hanno affollato Piazza San Pietro, a Roma, per partecipare alla cerimonia di beatificazione di Papa Luciani. Tante persone, ma anche molte autorità, non solo ecclesiastiche (come i numerosi cardinali e vescovi presenti), ma anche civili a partire dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella; ma c’erano anche il ministro Federico D’Incà, il presidente del Veneto Luca Zaia e quello della Provincia di Belluno Roberto Padrin.

All’inizio della cerimonia la richiesta di procedere alla beatificazione da parte del vescovo di Belluno-Feltre, Renato Marangoni, e poi la lettura di una breve biografia di Papa Luciani da parte del cardinale Beniamino Stella, postulatore della causa di beatificazione che nei giorni scorsi aveva sottolineato che la ricerca sulla vita di Giovanni Paolo I era stata accurata, coscienziosa, scrupolosa e condotta con metodo storico-critico, sulla base di una seria e completa investigazione delle fonti. Quindi c’è stata la proclamazione da parte di Papa Francesco al quale è stato poi portato il reliquario realizzato dall’artista Franco Murer che contiene quale reliquia uno scritto autografo di Albino Luciani risalente al 1956 con una riflessione spirituale sulle tre virtù teologali della fede, della speranza e della carità (reliquiario che sarà conservato nella Cattedrale di Belluno).

All’omelia Papa Francesco ha parlato dello stile di Dio, citando come esempio Papa Luciani che quello stile ha saputo ben interpretare. Ecco le parole di Papa Francesco.

Gesù è in cammino verso Gerusalemme e il Vangelo odierno dice che «una folla numerosa andava con lui» (Lc 14,25). Andare con Lui significa seguirlo, cioè diventare discepoli. Eppure, a queste persone il Signore fa un discorso poco attraente e molto esigente: non può essere suo discepolo chi non lo ama più dei propri cari, chi non porta la sua croce, chi non si distacca dai beni terreni (cfr vv. 26-27.33). Perché Gesù rivolge alla folla tali parole? Qual è il significato dei suoi ammonimenti? Proviamo a rispondere a questi interrogativi.

Anzitutto, vediamo una folla numerosa, tanta gente, che segue Gesù. Possiamo immaginare che molti siano stati affascinati dalle sue parole e stupiti dai gesti che ha compiuto; e, quindi, avranno visto in Lui una speranza per il loro futuro. Che cosa avrebbe fatto un qualunque maestro dell’epoca, o – possiamo domandarci ancora – cosa farebbe un astuto leader nel vedere che le sue parole e il suo carisma attirano le folle e aumentano il suo consenso? Capita anche oggi: specialmente nei momenti di crisi personale e sociale, quando siamo più esposti a sentimenti di rabbia o siamo impauriti da qualcosa che minaccia il nostro futuro, diventiamo più vulnerabili; e, così, sull’onda dell’emozione, ci affidiamo a chi con destrezza e furbizia sa cavalcare questa situazione, approfittando delle paure della società e promettendoci di essere il “salvatore” che risolverà i problemi, mentre in realtà vuole accrescere il proprio gradimento e il proprio potere, la propria figura, la propria capacità di avere le cose in pugno.

Il Vangelo ci dice che Gesù non fa così. Lo stile di Dio è diverso. È importante capire lo stile di Dio, come agisce Dio. Dio agisce secondo uno stile, e lo stile di Dio è diverso da quello di questa gente, perché Egli non strumentalizza i nostri bisogni, non usa mai le nostre debolezze per accrescere sé stesso. A Lui, che non vuole sedurci con l’inganno e non vuole distribuire gioie a buon mercato, non interessano le folle oceaniche. Non ha il culto dei numeri, non cerca il consenso, non è un idolatra del successo personale. Al contrario, sembra preoccuparsi quando la gente lo segue con euforia e facili entusiasmi. Così, invece di lasciarsi attrarre dal fascino della popolarità – perché la popolarità affascina –, chiede a ciascuno di discernere con attenzione le motivazioni per cui lo segue e le conseguenze che ciò comporta. Tanti di quella folla, infatti, forse seguivano Gesù perché speravano sarebbe stato un capo che li avrebbe liberati dai nemici, uno che avrebbe conquistato il potere e lo avrebbe spartito con loro; oppure uno che, facendo miracoli, avrebbe risolto i problemi della fame e delle malattie. Si può andare dietro al Signore, infatti, per varie ragioni e alcune, dobbiamo riconoscerlo, sono mondane: dietro una perfetta apparenza religiosa si può nascondere la mera soddisfazione dei propri bisogni, la ricerca del prestigio personale, il desiderio di avere un ruolo, di tenere le cose sotto controllo, la brama di occupare spazi e di ottenere privilegi, l’aspirazione a ricevere riconoscimenti e altro ancora. Questo succede oggi fra i cristiani. Ma questo non è lo stile di Gesù. E non può essere lo stile del discepolo e della Chiesa. Se qualcuno segue Gesù con questi interessi personali, ha sbagliato strada.

Il Signore chiede un altro atteggiamento. Seguirlo non significa entrare in una corte o partecipare a un corteo trionfale, e nemmeno ricevere un’assicurazione sulla vita. Al contrario, significa anche «portare la croce» (Lc 14,27): come Lui, farsi carico dei pesi propri e dei pesi degli altri, fare della vita un dono, non un possesso, spenderla imitando l’amore generoso e misericordioso che Egli ha per noi. Si tratta di scelte che impegnano la totalità dell’esistenza; per questo Gesù desidera che il discepolo non anteponga nulla a questo amore, neanche gli affetti più cari e i beni più grandi.

Ma per fare ciò bisogna guardare a Lui più che a noi stessi, imparare l’amore, attingerlo dal Crocifisso. Lì vediamo quell’amore che si dona fino alla fine, senza misura e senza confini. La misura dell’amore è amare senza misura. Noi stessi – disse Papa Luciani – «siamo oggetto da parte di Dio di un amore intramontabile» (Angelus, 10 settembre 1978). Intramontabile: non si eclissa mai dalla nostra vita, risplende su di noi e illumina anche le notti più oscure. E allora, guardando al Crocifisso, siamo chiamati all’altezza di quell’amore: a purificarci dalle nostre idee distorte su Dio e dalle nostre chiusure, ad amare Lui e gli altri, nella Chiesa e nella società, anche coloro che non la pensano come noi, persino i nemici.

Amare: anche se costa la croce del sacrificio, del silenzio, dell’incomprensione, della solitudine, dell’essere ostacolati e perseguitati. Amare così, anche a questo prezzo, perché – diceva ancora il Beato Giovanni Paolo I – se vuoi baciare Gesù crocifisso, «non puoi fare a meno di piegarti sulla croce e lasciarti pungere da qualche spina della corona, che è sul capo del Signore» (Udienza Generale, 27 settembre 1978). L’amore fino in fondo, con tutte le sue spine:non le cose fatte a metà, gli accomodamenti o il quieto vivere. Se non puntiamo in alto, se non rischiamo, se ci accontentiamo di una fede all’acqua di rose, siamo – dice Gesù – come chi vuole costruire una torre ma non calcola bene i mezzi per farlo; costui, «getta le fondamenta» e poi «non è in grado di finire il lavoro» (v. 29). Se, per paura di perderci, rinunciamo a donarci, lasciamo le cose incompiute: le relazioni, il lavoro, le responsabilità che ci sono affidate, i sogni, anche la fede. E allora finiamo per vivere a metà – e quanta gente vive a metà, anche noi tante volte abbiamo la tentazione di vivere a metà –, senza fare mai il passo decisivo – questo significa vivere a metà –, senza decollare, senza rischiare per il bene, senza impegnarci davvero per gli altri. Gesù ci chiede questo: vivi il Vangelo e vivrai la vita, non a metà ma fino in fondo. Vivi il Vangelo, vivi la vita, senza compromessi.

Fratelli, sorelle, il nuovo Beato ha vissuto così: nella gioia del Vangelo, senza compromessi, amando fino alla fine. Egli ha incarnato la povertà del discepolo, che non è solo distaccarsi dai beni materiali, ma soprattutto vincere la tentazione di mettere il proprio io al centro e cercare la propria gloria. Al contrario, seguendo l’esempio di Gesù, è stato pastore mite e umile. Considerava sé stesso come la polvere su cui Dio si era degnato di scrivere (cfr A. Luciani/Giovanni Paolo I, Opera omnia, Padova 1988, vol. II, 11). Perciò diceva: «Il Signore ha tanto raccomandato: siate umili. Anche se avete fatto delle grandi cose, dite: siamo servi inutili» (Udienza Generale, 6 settembre 1978).

Con il sorriso Papa Luciani è riuscito a trasmettere la bontà del Signore. È bella una Chiesa con il volto lieto, il volto sereno, il volto sorridente, una Chiesa che non chiude mai le porte, che non inasprisce i cuori, che non si lamenta e non cova risentimento, non è arrabbiata, non è insofferente, non si presenta in modo arcigno, non soffre di nostalgie del passato cadendo nell’indietrismo. Preghiamo questo nostro padre e fratello, chiediamo che ci ottenga “il sorriso dell’anima”, quello trasparente, quello che non inganna: il sorriso dell’anima. Chiediamo, con le sue parole, quello che lui stesso era solito domandare: «Signore, prendimi come sono, con i miei difetti, con le mie mancanze, ma fammi diventare come tu mi desideri» (Udienza Generale, 13 settembre 1978). Amen.

Al termine della Santa Messa e prima del giro tra la folla effettuato con la papamobile sotto il sole che nel frattempo aveva preso il posto della pioggia, c’è stata la recita dell’Angelus durante la quale Papa Francesco ha salutato tutti i pellegrini e «in modo speciale i fedeli di Venezia, Belluno e Vittorio Veneto, località legate all’esperienza umana, sacerdotale ed episcopale del Beato Albino Luciani». E poi ha invitato a rivolgersi in preghiera alla Vergine Maria, «perché ottenga il dono della pace in tutto il mondo, specialmente nella martoriata Ucraina. Lei, la prima e perfetta discepola del Signore, ci aiuti a seguire l’esempio e la santità di vita di Giovanni Paolo I».

«Cerimonia molto emozionante», ha commentato alla fine una pellegrina che, ripensando alla pioggia battente iniziale e poi all’arrivo del sereno ha sottolineato: «Come a Canale d’Agordo quanto venne Giovanni Paolo II: diluvio durante la Messa e sole subito dopo». E poi: «È stata una festa, anche l’arrivo del sole ha reso la giornata veramente gioiosa».

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