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giovedì 28 Marzo 2024,

Le piccole e medie imprese chiedono azioni mirate

«Nell’ultimo anno», commenta il bellunese Davide Piol, presidente Comitato Piccola Industria di Confindustria Veneto, «le Pmi hanno dovuto fronteggiare sia le conseguenze della pandemia sia un nuovo e inaspettato shock: quello del conflitto in Ucraina, il tutto all’interno di un contesto già di per sé sfidante sul fronte della transizione ecologica e digitale».

È stato presentato il Rapporto Regionale sulla Piccola e Media Impresa 2022, realizzato da Confindustria e Cerved, in collaborazione con Unicredit e Gruppo 24 Ore, che analizza gli andamenti e le prospettive delle 160 mila società italiane con un numero di addetti compreso tra tra 10 e 249 e con un giro d’affari compreso tra 2 e 50 milioni di euro: sono quelle che rientrano nella definizione europea di Pmi e generano un valore aggiunto complessivo pari a 204 miliardi di euro. Lo studio tiene conto del conflitto russo-ucraino e della persistenza dei rincari sul mercato delle materie prime e analizza l’esposizione delle Pmi italiane ai rischi climatici, ambientali e di transizione nelle diverse regioni.

«Nell’ultimo anno», commenta il bellunese Davide Piol, presidente Comitato Piccola Industria di Confindustria Veneto, «le Pmi hanno dovuto fronteggiare sia le conseguenze della pandemia sia un nuovo e inaspettato shock: quello del conflitto in Ucraina, il tutto all’interno di un contesto già di per sé sfidante sul fronte della transizione ecologica e digitale. L’attuale scenario internazionale e gli effetti sui rincari dei prezzi delle materie prime rischiano di pregiudicare, inesorabilmente, il processo di ripartenza. È in bilico la tenuta stessa del sistema e per questo è necessario mettere in campo azioni diversificate, orientate al sostegno della competitività delle aziende, vero motore per la ripresa del Paese. Per questo, i Comitati della Piccola Industria di Confindustria hanno individuato alcune proposte da attuare il prima possibile, tra cui: il rinnovo della moratoria di legge per le Pmi; un intervento strutturato per la patrimonializzazione e il rafforzamento della struttura finanziaria delle imprese; l’utilizzo di strumenti come la leva fiscale o il rafforzamento degli schemi di garanzia a supporto delle emissioni obbligazionarie e di altri strumenti di debito per favorire la crescita dimensionale delle imprese; la proroga del “credito d’imposta per la quotazione delle Pmi” e lo sviluppo della finanza alternativa. Occorre creare condizioni migliori e mettere a disposizione strumenti più efficaci per potenziare la patrimonializzazione delle imprese e rilanciarne gli investimenti, al fine di accompagnarle in un percorso di crescita e di innovazione».

Dopo cinque anni consecutivi di crescita, la pandemia ha determinato una contrazione del numero di piccole e medie imprese. In base agli ultimi dati demografici e di bilancio disponibili, nel 2020 il numero stimato di Pmi che operano nel sistema produttivo italiano si attesta a quota 153.627, un dato in flessione del 3,9% rispetto al 2019 ma ancora superiore del 2,5% rispetto ai valori del 2007. L’area geografica che fa registrare il calo più marcato di Pmi è il Centro (-6,6%), seguito dal Mezzogiorno (-4,1%), mentre risultano più contenute le perdite nel Nord-Est e Nord- Ovest (rispettivamente -3,3% e -2,7%).

Le Pmi italiane impiegano 4,5 milioni di addetti, occupati per il 53,4% nelle piccole imprese e per il 46,6% nelle imprese di media dimensione. Il Nord-Ovest è l’area che fornisce il maggior contributo occupazionale, con più di 1,5 milioni di occupati (il 34,9% del totale della forza lavoro impiegata nelle Pmi), seguito dal Nord-Est con 1,1 milioni di addetti (25,9%). Le Pmi di Centro e Sud Italia impiegano un minor numero di addetti, rispettivamente 900 mila (19,8%) e 868 mila unità (19,1%).

Nel 2007, prima della crisi finanziaria emersa nel 2008, le Pmi italiane erano caratterizzate da profili più rischiosi rispetto a quelli attuali. Negli ultimi anni il tessuto di piccole e medie imprese si è rafforzato sotto il profilo patrimoniale, anche in seguito all’uscita dal mercato delle società più fragili e indebitate. A livello territoriale, la quota più alta di Pmi in area di rischio si osserva nel Centro (18,7% nel 2020, dal 12,3% del 2019), seguito dal Mezzogiorno (14,8% nel 2020, dall’11,5%), mentre il Nord-Ovest si porta dal 9,8% al 13,9% e il Nord-Est si conferma l’area a minor rischio passando dall’8,1% all’11,6%. A livello territoriale, nel 2021 tutte le aree fanno registrare una riduzione della quota di Pmi a rischio, non riportandosi tuttavia sui valori registrati prima del Covid. Nel Mezzogiorno si osserva il miglioramento più marcato (dal 18,7% al 14,6% di Pmi a rischio) che porta l’area alla minor distanza rispetto ai livelli del 2019 (+1,7 punti percentuali). Nel Nord-Est si passa dal 9,9% all’8,1% di Pmi a rischio (contro il 5,8% pre-Covid), mentre nel Nord-Ovest la quota di rischiose si porta al 9,8% dall’11,3%, un valore, che supera di 3,4 punti percentuali il dato del 2019. Il Centro Italia, dove si osserva il miglioramento più lieve (dal 15,1% al 15,0%), diventa la macroarea con la maggiore incidenza di imprese a rischio (+4,6 p.p. rispetto al 2019).

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