La malattia di una pianta
di Luigi Del Favero
Il bosso, un arbusto da sempre presente nel nostro territorio, è gravemente ammalato.
L’ho conosciuto da ragazzo quando lo si usava abbondantemente nella chiesa del mio paese per ornare l’altare che tutti chiamavano "Santo Sepolcro", essendo risultato inutile lo sforzo del parroco nell’insegnarci il suo vero nome: "Altare della Reposizione".
Ai rami di bosso era domandato di parlare della vita e di diventarne un simbolo. Si tratta infatti di una pianta sempreverde, resistente anche al freddo, sempre uguale nel suo bel verde intenso. Ha un legno molto resistente e il profumo è forte. A molti non piace perché rievoca il cimitero dove, specialmente nel passato, il bosso veniva usato come recinzione delle tombe oppure per delimitare i viali. Ma soprattutto è un albero longevo. Può vivere anche seicento anni! Non ama la solitudine; è più utilizzato come pianta da siepe – e le siepi di bosso sono impenetrabili, capaci di nascondere alla vista o delimitare uno spazio – oppure con scopo ornamentale. In Toscana sono famosi i giardini nei quali un’enorme quantità di bosso, sapientemente potato, crea come dei labirinti con effetti suggestivi.
Sta bene sia in pieno sole che in ombra e non necessita di particolari cure. La potatura sì, quella deve essere fatta bene. Ultima caratteristica meno attraente: tutta la pianta è tossica: foglie, rami, corteccia, radici sono velenosi.
Da qualche tempo mi sono accorto che le piante di bosso sono in sofferenza. Le belle foglie verdi sono ingiallite e in qualche caso i rami sono già secchi. Nelle siepi si sono ormai creati dei varchi dove, con intermittenza irregolare, gli arbusti sono evidentemente morti.
Dato che incontro tali siepi ogni giorno, come recinzione di una casa assediata dal traffico sui tre lati, poiché è situata su un tornante, ho pensato che la colpa sia da attribuire all’inquinamento prodotto dagli scarichi di automobili, camion e autobus. Ma la curiosità mi ha reso attento e ho notato che la nostra pianta è ammalata anche in altri siti lontani dalle strade; addirittura in campagna dove l’inquinamento da traffico è lontano. Dunque ci deve essere un’altra causa.
Che un vivente � anche se si tratta di un albero � non stia bene in mezzo a noi è sempre fonte di inquietudine e motivo di tristezza. Pur se incommensurabile con quella che nasce visitando un reparto ospedaliero di oncologia o di malattie infettive, è pur sempre una tristezza che fa nascere qualche interrogativo.
Riguardo alla malattia del bosso l’interrogativo è stato presto risolto: un pericoloso parassita lo sta attaccando creandogli danni che, in assenza di cure precoci, sono irreversibili: le piante si seccano e muoiono. E poiché la crescita di nuove piante è molto lenta, recinzioni, siepi, viali di giardini vengono distrutti. Il parassita colpevole, dal nome scientifico in latino, è arrivato dalla Cina nel 2006 e ha viaggiato da clandestino; così nessuno sa quale strada abbia percorso e di quale mezzo si sia servito per arrivare da noi. Si nutre di tutto: foglie, corteccia e rametti della pianta; in breve tempo rimane solo il tronco con i rami più grandi. È buono unicamente per la discarica, non essendo adatto per la stufa.
Esistono parassiti, altrettanto pericolosi, delle idee, dei valori, delle tradizioni, della cultura di un popolo?
Agiscono come quelli delle piante? Come difendersi?
In questo momento sto pensando all’Europa. Non tanto il nome geografico di un continente � il più piccolo � ma l’Europa come idea, valore, tradizione, cultura.
Con una crescita più lenta, faticosa e tortuosa di quanto succede per le piante di bosso, anche l’ideale di un’Europa unita si è fatto strada. L’hanno piantato dei cristiani, ha sfidato la crisi di due terribili guerre mondiali, ha sofferto per il vento gelido della divisione, ma è germogliato e si è irrobustito. Fino al ’miracolo’ della moneta unica e dell’abbattimento fisico delle dogane e delle frontiere.
Ma è arrivato il clandestino più pericoloso che poteva approdare tra noi e ha incominciato ad intaccare tutto come negli alberi dove radici, tronco, corteccia e foglie vengono inesorabilmente mangiate.
Il clandestino, che non appartiene alla nostra grande cultura, vuole persuaderci che si sta meglio da soli, che senza l’altro c’è prosperità e sicurezza. Si stanno alzando nuovi muri contro gli altri, per tenerci separati.
Il parassita clandestino ci persuade che è meglio stare senza l’altro, contro l’altro e soprattutto essere sopra l’altro.
L’ideale europeo è sfiorito, si è ammalato, sta diventando secco. Forse morirà e gli effetti saranno molto dolorosi. Il parassita clandestino è momentaneamente sazio di facili voti elettorali; ma dopo cosa mangerà lui stesso se ha ucciso la pianta che lo nutriva?
Noi non vedremo più riprendersi l’ideale di un’Europa unita perché la crescita di questi ideali storici è molto lenta e sono necessarie molte generazioni per una rinascita.
La Storia è inesorabile e presenterà il conto del fallimento: lo dovremo pagare tutti e soprattutto lo dovranno pagare quelli che verranno dopo di noi e troveranno un deserto di valori.
Adesso capisco perché la morte di una povera pianta mi dà tanta tristezza e nutre una così forte inquietudine.
Leggi "Don Luigi Del Favero" della settimana scorsa.
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