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Cosa faceva la Chiesa?

di Luigi Del Favero

Domenica 6 agosto 1978 le uniche notizie che venivano continuamente diffuse riguardavano il gran caldo di quella giornata e la partenza per le vacanze di milioni di italiani, tutti insieme. Si cominciava allora a parlare di ’esodo’. Era la prima domenica di agosto.
Solo a sera fu comunicato che papa Paolo VI stava male; poco dopo le 21 si seppe che il Papa era morto a Castelgandolfo. Se n’era andato in silenzio, in punta di piedi, senza disturbare nessuno. Venne notata immediatamente la coincidenza fra la sua morte e la festa della Trasfigurazione che si celebra appunto il 6 agosto. Non ci fu la commozione di popolo conosciuta in altre occasioni, ma non mancò la sensazione di una grande perdita: si erano chiusi quegli occhi pieni di luce profonda che sapevano guardare lontano ed amavano fissarsi su chi era vicino e si era spenta una voce unica, indimenticabile anche nel timbro, che aveva parlato senza stancarsi. Bella, ma talvolta difficile da capire.
Quasi per ripagare la totale solitudine in cui Paolo VI se ne andò, di anno in anno la festa della Trasfigurazione è diventata il giorno della sua memoria, dedicata alla riscoperta della sua parola e dei suoi testi. Quest’anno c’è come un grande ritorno a papa Montini. La prossima beatificazione, che avrà luogo il 19 ottobre, non spiega molto. Coloro che lo hanno amato e stimato non ne sentivano il bisogno: non aggiungerà tanto a questa figura di uomo vero, nuovo, buono, santo.
Dopo averlo colpevolmente dimenticato, ce lo ritroviamo vicino come un compagno di cammino che sa la strada nel difficile passaggio che stiamo vivendo. Ad afferrare la sua mano per lasciarsi guidare da lui è soprattutto papa Francesco. Ne parla spesso e, nominandolo, dice sempre: «Il grande Paolo VI».
Per i vescovi italiani ha fatto ristampare un discorso di papa Paolo di cinquant’anni fa, esortandoli a leggerlo bene perché sembra scritto oggi.
Dal 1978 ho sempre celebrato il 6 agosto con la lettura di tre testi: il testamento di Paolo VI, il suo ’Pensiero alla morte’ e il discorso che tenne ai carcerati di ’Regina Coeli’ nel 1964. Quest’ultimo più che leggerlo l’ho sempre ascoltato, avendo una registrazione su cassetta che mi era assai cara.
L’ho fatta sentire tante volte agli studenti nella prima lezione del corso di Morale sociale, essendo convinto che in quelle parole, mirabili anche nella forma, sia annunciato l’essenziale dell’atteggiamento del cristiano verso l’altro e del rapporto della Chiesa verso il mondo.
Ora la cassetta è inservibile e sono quasi scomparsi i registratori per riprodurre le audiocassette. Supplisco con la lettura del testo che trovo ogni volta più bello; è capace di svelare ricchezze ad ogni nuova lettura.
«Cosa faceva la Chiesa in quel tempo?».
Paolo VI se lo chiese guardando alla stagione in cui gli toccò essere Papa. Quindici anni difficili e tormentati. In modo particolare negli anni ’70, che ricevettero la denominazione di ’anni di piombo’ per la cupa presenza del terrorismo nel mondo e anche in Italia.
Rispose: «Vorremmo che si potesse dire: in quel tempo la Chiesa amava».
Il Papa non stava fermo e interveniva con la parola, i gesti, i viaggi, la diplomazia, la carità. Però sapeva che c’era un fondo su cui tutto poggiava o una sorgente dalla quale nascono le azioni e le parole e la individuava nell’amore verso il mondo.
Lo ricordo in un incontro con gli studenti del Seminario Lombardo che frequentavo in quel periodo. Seduto in mezzo a noi, papa Montini, stanchissimo, fece una specie di elenco dei problemi del mondo e delle fatiche della Chiesa, esprimendo con una confidenza che ci stupì tutta la sua tristezza. Ma ad un certo punto si scosse e si drizzò, battè i pugni sui braccioli della poltrona e disse con voce forte: «Ma tutto questo esige solo un amore più grande. Dobbiamo amare questo nostro mondo, dobbiamo conoscere e amare l’uomo contemporaneo». Poi proseguì con un sorriso buono e uno sguardo che vedeva lontano, esortandoci a non avere paura del nostro mondo e soprattutto della passione per la libertà che lo attraversa. Ci lasciò un’impressione incancellabile.
Lui si fidava del mondo moderno, lo accettava maggiorenne come vuole essere riconosciuto, si rapportava alla scienza, alla politica, all’arte e a tutte le manifestazioni umane con il segreto del dialogo umile e tenace.
Alla fine dell’incontro ricordato volle salutarci ad uno ad uno, riservando qualche minuto ad ognuno. Eravamo poche decine di giovani preti studenti. Arrivato il mio turno, volle sapere di me e mi chiese pure da dove venivo. Sentendo nominare Belluno si illuminò, parlò di questa terra bellissima, mi disse che ero fortunato. Gli occhi brillavano di più quando ricordò il vescovo Muccin, con espressioni di stima.
In quei momenti per Paolo VI esistevi solo tu; ti dedicava attenzione intensa e amore come se fossi unico al mondo. Da quel giorno non ho mai dubitato che fosse un grande santo.

Leggi "Don Luigi Del Favero" della settimana scorsa.

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