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La missione di essere memoria della creazione

«Noi, che abbiamo avuto in sorte di vivere in una terra tra le più belle del mondo, abbiamo una possibilità e una responsabilità speciali. Non dimentichiamolo mai, per noi, per i nostri ragazzi e giovani, per i tanti ospiti che soggiornano nella nostra terra». Il passo è tratto dalle bozze della Nota pastorale per il prossimo anno che il vescovo monsignor Giuseppe Andrich sta preparando nel confronto e con l’aiuto di numerosi collaboratori, sacerdoti e laici, e che verrà presentata ufficialmente domenica 21 settembre nella cattedrale di Belluno nell’ambito della Convocazione diocesana.
Un passo, quello citato, che rappresenta uno stimolo importante e utile per riflettere sul rapporto che ciascuno di noi ha con la sua terra, per aiutare a superare visioni parziali o riduttive, troppo negative e pessimistiche o al contrario di un ottimismo immotivato.
«La bellezza delle nostre montagne e di quanto dà loro vita», continua il testo citato, «può essere un annuncio efficace della bellezza eterna verso la quale aneliamo e che si trasfonde e già si preannuncia nelle relazioni che viviamo».
Quindi una prima conseguenza di grande importanza: la nostra terra ci costituisce nel profondo e ci dà possibilità di cui spesso non siamo consapevoli e che invece rappresentano un’occasione privilegiata, da mettere a frutto sia a livello personale che comunitario.
Ecco una spiegazione ulteriore: «Essere custodi di tale bellezza fa parte della nostra vocazione. Non è un tema che corre accanto alla vita cristiana, quasi un compito facoltativo e un aspetto secondario rispetto al cuore della nostra fede. Altri, in ambienti diversi e in particolare nelle città, avranno compiti e possibilità che noi non abbiamo. A questa nostra terra è affidata la missione di essere memoria della creazione; qui deve essere possibile risentire l’eco delle parole pronunciate all’alba del mondo: "Dio vide che aveva fatto una cosa buona" e il silenzio delle nostre vallate e delle nostre vette può facilitarne l’ascolto, frutto di contemplazione».
Un fare memoria della creazione, della sua bellezza e della sua bontà – viene sottolineato nel testo – che certamente significa anche pace e armonia interiore e che per la terra dolomitica chiede pure la responsabilità di «un’unità di intenti per il bene di tutti e per il nostro futuro».
Insieme alla memoria viene indicata come altrettanto essenziale la profezia perché «la custodia del creato non è atteggiamento passivo. Tramite il lavoro dell’uomo, la terra è coltivata affinché prepari il pane per i figli di Dio; viene resa abitabile e ospitale per diventare la dimora comune».
Chiara l’esigenza (e l’invito) a darsi da fare, a riconoscere il valore della propria terra e a farlo fruttare (dal piano ambientale, a quello economico, a quello spirituale), nella consapevolezza che si possono fare grandi cose, pur senza nascondersi le difficoltà. «La minaccia del peccato che incita allo sfruttamento, al possesso esclusivo, alla distruzione dell’ambiente, va presa molto sul serio: oggi ha dimensioni drammatiche», si sottolinea in un altro brano. Ma la consapevolezza dei doni ricevuti e il sostegno del Signore «presente nei vasi di creta che noi siamo», può far guardare al futuro con grande fiducia e con grande energia. La fiducia e l’energia di cui la montagna bellunese ha un forte bisogno per proiettarsi in avanti e realizzare le grandi potenzialità di cui è ricolma.

Leggi il "fondo" della settimana scorsa.

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