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Il restauro

di Luigi Del Favero

Conosciamo tutti il disagio dei restauri. Possono interessare una chiesa o la facciata di un palazzo ed anche un’intera piazza. Quelli di casa nostra ci fanno soffrire e rimpiangere la decisione di aver messo mano alla nostra abitazione, specialmente se nel frattempo siamo obbligati a viverci.
Il restauro provoca un senso di estraneità: non vediamo più quanto ci era familiare e rassicurante, i tempi ci sembrano sempre troppo lunghi e la pazienza dell’attesa si consuma velocemente. Sospiriamo desiderando che tutto finisca al più presto.
Arriva il momento atteso e ci risarcisce per i disagi sopportati. La sorpresa è il sentimento che supera tutti gli altri: non ci eravamo mai accorti che quella chiesa o quella piazza o quella casa fossero così belle. Tutto ci sembra nuovo nello stesso momento in cui viviamo la gioia di ritrovare quanto non vedevamo più da troppo tempo e forse avevamo dimenticato. Per questo si fa una festa per inaugurare il restauro.
Le giornate di fine settembre ci hanno restituito quel mondo che i lunghi mesi dell’estate mancata ci avevano tenuto nascosto. Si è ripetuta la magia dell’istante in cui vengono smontate le impalcature e cadono gli ingombranti teli che nascondevano quanto si stava restaurando.
L’effetto però si è moltiplicato, addirittura ingigantito.
Abbiamo rivisto le montagne: luminose nella luce del sole autunnale, come lavorate, ripulite e riportate all’originale primitivo che dà il meglio di sé nei colori di alcuni tramonti indimenticabili. Sono riapparsi i boschi. Avevamo temuto lo scippo dello spettacolo di questa stagione e qualche mancanza si deve pur notare: frassini e betulle sono già spogli. Ma i faggi, gli aceri, gli ontani hanno preparato un abito che pare più festoso del solito. Scendendo di quota lo sguardo si ferma sui prati ancora verdi, non avendo patito la siccità estiva. Gli occhi si fermano sui balconi delle case, sui giardini, sugli orti che presentano una fioritura tardiva esuberante.
Sì, il nostro mondo ci viene restituito restaurato. Io cerco il particolare che mi pare più riuscito.
Non ho alcun dubbio nell’assegnare il primato al cielo. È bellissimo e il suo azzurro riempie occhi e cuore. Trascorro l’ultima domenica di settembre in un paese di montagna dove, a detta dei locali, oggi c’è il massimo di luminosità, di piacevolissimo calore, di bellezza. In attesa dell’impegno serale, entro in un bosco e percorro per un’ora una strada silvestre seguendo la direzione del sole che ho sempre davanti. Arrivato in un’ ampia radura, giro le spalle al sole che abbaglia e scopro sopra di me un cielo che mi pare di non avere mai visto. Ci sono solo due colori: il verde degli abeti e l’azzurro del cielo che formano un’armonia perfetta. Solo chi li conosce può capire quanta gioia regalano e in quale pace conducono. Sulla strada del ritorno a casa, quando sarà già notte, mi fermerò ancora con il desiderio di ascoltare il bramire dei cervi. Non lo sentirò, ma guarderò in alto verso il cielo stellato che era rimasto come chiuso per tanto tempo. È ancora un ritrovamento che produce la soddisfazione della fine dei pesanti restauri.
Il resto del viaggio lo dedico a dilatare la speranza per investire altri mondi e invadere nuove realtà.
Penso alla famiglia e ai suoi tanti problemi.
Soffriamo l’eclisse di alcuni valori ai quali teniamo tenacemente.
Tentiamo di scoprire la direzione di marcia per cambiamenti che non si possono più né negare né minimizzare: dove stanno andando la famiglia, la coppia, la differenza maschile e femminile, la generazione dei figli, la durata del patto? Dov’è il posto dei nonni? Si avverte tanta fatica anche nel portare il peso educativo ed economico imposto alle nostre famiglie.
C’è speranza? Terminerà questa fase di lavori di restauro? E dopo cosa vedremo?
Spengo con irritazione la radio, infastidito perché tutte le stazioni ripetono con monotonia le stesse notizie su un famoso matrimonio che si celebra a Venezia. Mi pare tutto finto e mi irrito perché i giornalisti sembrano copiare l’uno dall’altro.
La speranza non viene dalle fiabe! È piuttosto racchiusa nel lievito che, stando al Vangelo, è capace di fermentare «tre staia di farina». Oggi ho saputo che con questa misura si indica una quantità enorme, praticamente una montagna di farina.
Eppure una misura di lievito che la donna esperta ’nasconde’ nella farina, è capace di produrre un tal prodigio. Spero che il prossimo Sinodo sulla famiglia abbia il medesimo effetto.
Non sentiamo il bisogno di rinnovare le diagnosi e di sentire nuove statistiche. La dottrina ci è nota e chiunque voglia sapere cosa pensa la Chiesa sul matrimonio può consultare il Catechismo. Delle leggi morali e giuridiche è stato detto tutto. Gli errori sono stati autorevolmente denunciati.
Ora ci serve il lievito. È il Vangelo scritto in quel piccolo libro tanto prezioso e annunciato da una Chiesa che parla il linguaggio della misericordia. Poi c’è il Vangelo scritto con caratteri leggibili da tutti nella vita di famiglie concrete che vivono in mezzo a noi.
Pregheremo molto perché il vento che ha spazzato via le perturbazioni che hanno incupito la passata stagione, doni il sereno alla famiglia. Questa volta non nella luminosità del tramonto, ma di una nuova aurora.

Leggi "Don Luigi Del Favero" della settimana scorsa.

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