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L’ultima della fila

di Luigi Del Favero

Questa volta una fotografia sarebbe utile e la conserverei volentieri. Mi piacerebbe rivedere l’ultima della fila nella lunga processione che si è svolta a Casamazzagno nella festa della Madonna della Salute, festa che richiama fedeli dalle parrocchie del Comelico fin dalle prime ore del mattino e che ha il momento più partecipato nella grande processione. Erano presenti anche le montagne innevate, che il clima eccezionalmente mite di una giornata limpida di tardo autunno, faceva sentire vicinissime. L’addobbo del paese ornato fin per le strade in modo originale e assai fine ‐ quasi artistico, si sarebbe detto ‐ e la partecipazione generale della gente hanno accresciuto il clima di festa. Ad un certo momento io ho avuto occhi solo per la bimba che chiudeva la processione. Ne porto l’immagine impressa nella memoria e il ricordo è sceso nel cuore. Era una bambina, forse di tre anni, che camminava tutta sola, sciolta dalla stretta di mano dei genitori che l’accompagnavano, occupati per altro a spingere la carrozzina di un fratellino o sorellina; ben vestita, con abiti che richiamavano quelli tradizionali indossati con maggiore orgoglio dalle donne. Nell’atteggiamento, nell’andatura, nella compostezza, imitava l’atteggiamento dei ’grandi’ ai quali era accodata e quando la processione, con inversione perfetta, ritornò verso la chiesa, permettendo a quelli di testa di incontrare quanti si trovavano in coda, la bambina restò come incantata a guardare la grande immagine della Madonna portata sulle solide spalle di giovani volontari.
Proprio quello sguardo avrei voluto fotografare per non perderne la memoria. Era bellissimo come tutti gli sguardi dei piccoli, ma non era né stupito né curioso: era normale poiché si fermava su qualcosa di familiare, forse visto tante volte: certamente qualcuno le ha già insegnato a riconoscere e pregare la Vergine.
Io ho iniziato un dialogo silenzioso con quella piccola interlocutrice a me sconosciuta, alla quale ho detto pressappoco così: «Tu sei fortunata perché conosci già una lingua in più. Dire che si tratta della lingua della fede forse è troppo; in questo momento è la lingua dell’appartenenza ad una comunità, ricca di un lungo passato, radicata nella storia, cementata dalla religiosità e dalla tradizione. Quello che vedi e senti oggi non si cancellerà mai dal tuo animo e ti accompagnerà per tutta la vita. Nessuno può immaginare ora quale sarà la tua esistenza, quali esperienze farai e dove andrai. Forse il ricordo dei tuoi tre anni è destinato a scendere nel profondo, incontrerà ostacoli per riaffiorare, potrai anche rinnegarlo, ma non si spegnerà mai né si allontanerà da te. Ti ho già detto che tu sai una lingua in più: senza esercizio, la ricorderai con maggior fatica, ma non la perderai più. Basterà poco e riuscirai di nuovo a capirla e parlarla. Hanno seminato in te qualcosa di bello che forse un giorno ti riempirà di nostalgia, oppure ne andrai orgogliosa; in ogni caso ti aiuterà a non sentirti sola. In alcuni momenti il ricordo diventerà preghiera».
Questi erano i contenuti del mio dialogo non espresso in parole; ad essi ben presto si sovrappose una forte tristezza per tutti quei bambini privati dell’esperienza di Agnese. Dopo la funzione l’ho rintracciata e ho imparato il suo nome, venendo pure a sapere che, grazie all’attaccamento dei suoi per la propria montagna, lei non si sradicherà tanto presto da questa terra dura, ma amatissima.
La tristezza ha scrutato il deserto che si stende davanti a quanti entrano nella vita senza che nessuno racconti loro un passato, li leghi ad una concreta comunità che ha pregi e difetti, che celebra feste e sa esprimere forti legami, che ha delle regole di comportamento e impone dei limiti invalicabili: di là ci sono la trasgressione, il pericolo, gli atteggiamenti antisociali. O semplicemente si è privi di una lingua e anche dell’alfabeto elementare con cui comunicare, cantare e pregare. L’alfabeto al quale penso non è fatto solo di parole, ma di gesti e di simboli grazie ai quali ci riconosciamo.
Gli altri, che crescono senza l’esperienza della mia piccola amica, potranno sembrare più spontanei e infatti nessuno si sogna di frenare la loro spontaneità, facendoli sentire pericolosamente onnipotenti. Un po’ più grandi, verranno dichiarati liberi e sceglieranno lo stile di vita che preferiranno, consumando ciò che vorranno e determinandosi da sé anche in ciò che appena ieri era impensabile. Entrano qui anche il rapporto con gli altri oppure la sessualità e la gestione della propria corporeità in genere. Ma siamo sicuri di non illuderli? A girare nel deserto, senza tracce né limiti, si rischia di stare fermi nello stesso posto in una ripetitività che toglie gusto alla vita e non permette conquiste.
«Vedi, Agnese, che lezione mi hai dato? Tu non la puoi capire, ma io voglio ringraziare i tuoi cari, i tuoi paesani, la tua terra perché nella più grande normalità ti hanno fatto un regalo inestimabile. E senza saperlo, l’hanno fatto anche a me confermandomi di essere sulla strada giusta. Il ricordo del passato, il legame con la comunità, la lingua dell’appartenenza non l’ho più dimenticata. Grazie ad essi oggi sento viva soprattutto la promessa che mi serve per completare il cammino. Intanto sono contento di essere inserito in questa processione nella quale non è stato tutto facile né sempre abbiamo tenuto il passo. Però quando si cammina così, in processione, insieme agli altri, non si è mai soli. Grazie».

Leggi "Don Luigi Del Favero" della settimana scorsa.

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