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Ridestare i colori

di Luigi Del Favero

È la magia che si rinnova in ogni mattino. Il sole sorge, sparge luce e prima di trasmettere calore ridesta i colori del mondo. In montagna, nella settimana appena trascorsa, luminosissima e fredda, la magia si riproduceva con la sorpresa di un miracolo. Quante volte ho ammirato quello spettacolo che non mi ha mai saziato. Chi vive in un determinato luogo per lungo tempo, o per tutta la vita, conosce gli orari, le successioni, le attese e sa misurare il cammino del sole. La notte aveva inghiottito tutto; ora il sole ridona colore, prima alle vette più alte, poi alle montagne, al cielo, ai boschi, scendendo sempre più in basso, invadendo alla fine le valli. Però nel rispetto fedelissimo del calendario. In molte nostre località la festa di sant’Antonio abate, il 17 gennaio, costituisce una specie di crinale che il sole deve superare per guadagnare nuove tappe e giungere là dove era rimasto assente per settimane o anche per mesi.
Dicono che al mare ci siano altre meraviglie; lì le tinte sono forse più forti, i contrasti più marcati, i passaggi più veloci; ma nel complesso il disegno rimane indecifrabile per il montanaro che non sa staccarsi dalle sue ’crode’. Tanto meno sa leggere il risveglio dei colori della città. I miei occhi nostalgici di montanaro sanno sollevarsi solo verso i campanili che captano per primi il sole. Scorgo quello antico della chiesa di san Pietro che con il rosso dei suoi mattoni secolari pare una sentinella che si sveglia prima degli altri. Poi mi fermo ad ammirare il grande campanile del Duomo: di giorno lo definisco bianco, ma al mattino è rosaceo o violetto, talvolta pare avorio prezioso, acquista i colori di un vivente. L’incanto dura alcuni minuti durante i quali, con operazione incorreggibile lo paragono a una parete verticale delle nostre montagne. D’altra parte queste, proprio in piazza del Duomo, si lasciano vedere e permettono i confronti. Tuttavia anche qui, nella valle, c’è qualcosa di unico che la montagna non possiede. Mi riferisco al fiume. Io vedo ogni giorno il Piave, nella grande ansa sulla quale è costruita la città. L’acqua risponde alla luce e con il suo luccicare tranquillo, in mezzo al bianco della brina sparsa dappertutto, sembra raccontare il suo scorrere fedele e dare appuntamento per lo spettacolo del tramonto al quale sono riservati gli effetti straordinari.
C’è chi racconta dell’alba nel deserto e documenta con le fotografie riprese che incantano. Il sole incendia i colori del deserto dopo l’oscurità profonda della notte. Mancano le gradazioni dei rilievi dei monti, quella conquista che avviene palmo a palmo, la risposta che possiede il ritmo di una musica che cresce. È facile immaginare l’uomo del deserto che si prostra e sprofonda nella preghiera, senza accompagnamento e senza voci. Adora e basta.
Oggi il prodigio non si è compiuto. La giornata è stata grigia, uniforme, in una parola, senza colori.
Se ci dicessero che dobbiamo vivere in una lunga successione di giornate così, l’effetto deprimente sarebbe assicurato. Tuttavia è stato necessario attraversare un mondo senza colore, quasi privo di vita e certamente senza calore. Si può evitare si sporgersi dalla finestra e accontentarsi delle tante risorse che hanno le nostre case per supplire all’assenza della luce del sole. Ma l’anima soffre ugualmente e sopporta a fatica che le montagne se ne stiano nascoste, che il cielo sia coperto, che gli alberi siano come morti e le case tristi e l’acqua nera. È irriconoscibile il volto del mio mondo.
Certi giorni è proprio irriconoscibile anche il volto del nostro mondo. Una valanga di notizie è passata su di noi lasciando la desolazione che produce l’alluvione. Sono affiorate impietosamente le nostre fragilità, l’incapacità di convivere in pace, la violenza che non si ferma neppure davanti ai bambini. Proprio impietosamente. Ci vergogniamo per tutte le volte che giriamo la testa dall’altra parte. Quello che accade in Nigeria o in Siria rischia di lasciarci indifferenti. Non c’è stato tramonto in tante nostre sere e la notte è arrivata troppo presto.
Nella veglia ci è lecito attendere il domani con la sua promessa di sole. Sarà il messaggero della «bontà misericordiosa del nostro Dio che ci visita sorgendo dall’alto». Nella notte ci sono sentinelle che vegliano. Cosa fanno? Pregano. Sanno con certezza incrollabile che il sole c’è e per questo guardano agli altri condividendo qualche frammento della forza del sole che è simile ad un’immensa fiducia capace di suscitare colori sempre belli dovunque arriva. Dobbiamo immensa gratitudine a chi sa ridestare i colori concedendo fiducia ad ogni creatura e ad ogni fratello: cristiano, ebreo, mussulmano, non credente...
Tra poco, sotti i raggi tiepidi del sole, si potrà avvertire anche il profumo, addirittura il profumo del Vangelo. Quello dell’umiltà è inconfondibile, guarisce le ferite e risana il mondo.

Leggi "Don Luigi Del Favero" della settimana scorsa.

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