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Le ricette di ‘mada’ Nina

di Luigi Del Favero

’Mada’ Nina ha trascorso tutta la sua lunga, serena e semplice vita tra le frazioni di Francia (sic) e Andraz nel territorio di Livinallongo. Le faccio gli auguri per raggiungere i 100 anni!
’Mada’ è l’appellativo con il quale in quelle terre e in tutto l’Alto Agordino ci si rivolge alle donne anziane e non è difficile l’accostamento alla ben più celebre parola ’Madonna’ che significa ’signora’.
L’ho conosciuta bene per tanti anni e ho cercato di assorbirne alcune gocce di saggezza antica e profonda che distribuiva con un parlare che incantava poiché possedeva, come innata, la capacità di raccontare. ’Mada’ Nina aveva anche le sue ricette per una vita buona. Spesso ne ricordo una che riguarda la televisione e più propriamente il telegiornale. Rimasta sola, dopo la morte del marito Guido che si appassionava alla politica, alla fine del programma «Geo&Geo» dedicato a piante, animali e paesaggi da tutto il mondo, era solita spegnere il televisore per dedicarsi alla preghiera e anche a qualche bella lettura prima della notte.
Il motivo? Non si può andare a dormire e sperare in una buona notte con il cuore che sta male. Il telegiornale, con il cumulo di cattive notizie e di brutte immagini che rovescia sullo spettatore, affatica il cuore, turba la mente, semina paura e angoscia che possono solo produrre agitazione e far ammalare il cuore.
Concludeva invariabilmente: «Non pensano mai a noi anziani e a quanto male ci fanno».
Non ho mai udito da altri questa osservazione. A cosa si riferiva in modo particolare? Alle guerre? Chi è nato quasi cent’anni fa alle pendici del Col di Lana possiede una psicologia robusta e purtroppo considera la guerra come una minaccia sempre possibile. No, ’Mada’ Nina si riferiva alle notizie sui delitti familiari, quelli che maturano nelle case e vengono presentati con morbosa complicità.
Abbondano i discorsi e le analisi su quanto possono essere distruttive tali notizie per i bambini. Sembra che stiano giocando, ma intanto ascoltano della mamma che uccide il proprio bambino, del papà che stermina la famiglia, del figlio che infierisce sui genitori e la sua fiducia di base si sgretola: dunque nel nido dell’amore, dove ci dovrebbe essere in ogni caso sicurezza e accoglienza, può esserci la peggiore violenza.
Ma pure gli anziani stanno male: sentono e non sanno più in che mondo vivono; talvolta non hanno più voglia di abitarlo questo mondo che non riconoscono più. La vita ha insegnato loro che certe disgrazie purtroppo succedono, che il mistero della mente umana è insondabile, che l’odio e la vendetta sono distruttivi. Ma oggi assistono a un’esibizione di tutto ciò, devono ascoltare racconti dettagliati che non trascurano nulla: a Pordenone un marito uccide la moglie con l’accetta, rincorre la figlioletta con un coltello e poi i cadaveri vengono trovati così e così... E i vicini di casa raccontano altri particolari. Qualcuno delle Forze dell’ordine descrive cosa hanno trovato in casa.
A chi servono questi racconti? Perché queste descrizioni?
Tante volte negli ultimi anni ho dovuto spegnere velocemente la televisione per rispetto verso la mia anziana madre; ultimamente non l’accendevo più proprio per mettere in pratica la ricette di ’Mada’ Nina da me evocata decine di volte in occasioni simili.
Alcuni anni fa ci avevano raccontato belle storie su dirigenti cattolici entrati nella Rai; dicevano che erano sostenuti da qualche potente cardinale o che erano vicini a movimenti prestigiosi. Avrebbero cambiato la Rai.
Non è cambiato nulla o forse anche costoro obbediscono all’unica autorità che comanda in questo mondo, quell’economia che uccide instancabilmente denunciata da papa Francesco.
Tuttavia non è sempre possibile spegnere la televisione. Sarebbe come girare cinicamente gli occhi dall’altra parte e rifiutarsi di vedere le sofferenze degli uomini, dei fratelli del nostro tempo. Penso ai perseguitati, ai profughi, agli affamati, ai naufraghi.
Domenica scorsa era un obbligo morale tenere d’occhio il televisore e aggiornarsi su quanto stava accadendo nel Mar Mediterraneo, lasciando che le immagini rendessero l’animo schiacciato e avvilito. L’ho fatto pure io diventato quasi incapace di esprimere una preghiera e rifiutandomi di formulare un giudizio.
È capitato che proprio in mezzo a queste immagini mi sia apparsa Piazza del Duomo di Belluno, con l’inconfondibile campanile e il suo Angelo munito di tromba. Ho intravisto volti conosciuti e ho alzato l’audio per rendermi conto di cosa significava tutto ciò in mezzo alle notizie terribili di un naufragio dalle proporzioni storiche. Ho capito presto: c’erano le parole urlate e stonate di un laeder politico in cerca di qualche voto. Li cerca provocando la paura di un’inesistente invasione di profughi.
Mi sono vergognato che le parole partissero da Belluno ‐ i Bellunesi, intelligenti e ricchi di memoria , coltivano altri sentimenti e nutrono altre convinzioni – e ho guardato con disagio i sorrisi e gli applausi di chi stava attorno.
Poi ho alzato lo sguardo a quella tromba in mano all’Angelo. Un giorno suonerà per convocarci tutti a giudizio.

Leggi "Don Luigi Del Favero" della settimana scorsa.

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