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Arruolarmi?

di Luigi Del Favero

Nel maggio 1915 la guerra aveva già fatto la sua vittima più illustre: la verità.
L’Italia stava per entrare nel conflitto ‐ vi entrò il 24 maggio ‐ che era iniziato in Europa quasi un anno prima e aveva già mostrato il suo volto terribile sia sul fronte occidentale sia su quello orientale, in quella famosa Galizia conosciuta dai militari partiti da Fodom e da Ampezzo.
È noto quanto avvenne un secolo fa e come si mobilitò l’opinione pubblica, creando un vero entusiasmo per la guerra. Gli interventisti vinsero ampiamente, convincendo anche cattolici e socialisti che avevano tante ragioni per preferire la neutralità e cercare la pace.
Partirono per il fronte con entusiasmo e cantando. Ben presto, sull’Isonzo, il canto si sarebbe spento e l’entusiasmo sarebbe morto: i soldati erano stati ingannati.
Rimane intatta, anzi va crescendo, la venerazione per la sacralità del dolore e delle sofferenze delle truppe e delle popolazioni; ammiriamo anche oggi il valore del sacrificio di tanti che obbedirono; ci commuove il racconto della solidarietà e della fraternità che spuntarono tra i militari come fiori rari che nascono tra le rocce. I loro canti appartengono alla nostra storia e li eseguiamo ancora con passione.
Ma crescono pure la condanna per il cinismo dei politici, la crudeltà miope dei generali, l’orrore per i crimini tenuti a lungo nascosti. Ripasso mentalmente le tante cose che ho ascoltato nella mia vita che si incammina verso i settant’anni e cerco velocemente il racconto più impressionante che si è impresso nella mia memoria. Rivedo il ragazzo Giovanni De Lazzer nascosto tra i cespugli, sulla riva del Cordevole, nella gola tra Digonera e Caprile, che assiste alla decimazione dei soldati italiani che fuggivano dal Col di Lana: scappavano dalla morte assurda su quella sterile montagna e trovavano una morte ancora più assurda da parte di commilitoni obbligati a rimandarli indietro, terrorizzati dallo spettacolo delle decimazioni dei fuggitivi. Giovanni era anziano quando ricordava quei fatti, era un uomo forte, indurito dalla vita non facile, ma le lacrime gli rigavano ancora il volto.
Non sapeva che il Papa di allora, Benedetto XV, definiva la guerra inutile strage, ma la vedeva con i propri occhi.
Eppure un secolo fa, di questi giorni, correvano ad arruolarsi. La verità era già gravemente ferita.
La memoria impone vigilanza e grande discernimento verso tutte le chiamate alle armi.
Ne esistono anche oggi.
Vorrebbero arruolarci in una guerra contro gli islamici. Dicono e scrivono che li temiamo troppo poco e che non vogliamo vedere il nemico al quale stiamo aprendo le porte di casa.
Il nemico non sono gli islamici e il conflitto che sta minacciando il mondo ‐ la minaccia è reale e fa veramente paura ‐ non è un conflitto tra le religioni. Un nemico c’è e incombe sopra di noi che non lo vogliamo vedere: è la malvagia disuguaglianza nella distribuzione delle ricchezze tra i popoli della terra. Rubo le parole allo storico Franco Cardini. Prima abbiamo derubato gli arabi del loro oro (il petrolio); dopo abbiamo asservito un intero continente ‐ l’Africa ‐ alle esigenze economiche del mondo sviluppato, capitalista o comunista o cinese. Oggi esigiamo che stiano a casa propria e minacciamo di bombardarli se fuggono dalla fame e da guerre che anche noi abbiamo acceso e alimentato con la fornitura di armi.
È il caso di arruolarsi contro tutti costoro?
Su tutt’altro fronte, vogliono che mi arruoli contro il pericolo del "gender" che abolisce la differenza tra maschile e femminile e confonde le identità, minacciando seriamente il matrimonio e la famiglia.
Il pericolo esiste; papa Francesco lo denuncia come colonizzazione ideologica e riguardo alla teoria che è stata costruita ha detto senza paura che è nata da una mente ammalata. I più giovani vanno difesi e la scuola ha una grave responsabilità.
Ci sentiamo accerchiati da nemici che ricevono ordini da centrali nascoste? Inizieremo una guerra? È obbligatorio assumere i toni della polemica? Rinnoviamo gli schieramenti pronti alla battaglia?
Qualcuno lo esigerebbe e c’è chi viene a dirmi di parlarne anche a Messa, nella predica.
Mi convince di più quanto ho letto recentemente in prima pagina dell’Osservatore Romano: «D’altra parte è un po’ esagerato ‐ e paradossalmente contribuisce a rafforzarlo ‐ considerare il gender come il pericolo numero uno che i credenti sarebbero chiamati a combattere.
L’evidente debolezza di questa ideologia fa pensare piuttosto che in un prossimo futuro ne parleremo sorridendo, come si fa quando si evoca il provvedimento, attribuito a Robespierre, di tagliare i campanili per assicurarsi che tutti gli edifici fossero uguali. Certo, una sicurezza così ben radicata nell’uguaglianza degli esseri umani deve trovare anche un riscontro nell’organizzazione della Chiesa, che invece ignora la sua realizzazione concreta, per la quale è indispensabile la presenza femminile».
Non mi arruolerò per altre guerre. Mi dedicherò all’impegno di coltivare la verità, anche in frammenti, presente in quanti da lontano sembrano nemici, ma visti da vicino, sono sempre miei fratelli, talvolta feriti dai nostri atteggiamenti o da vecchi pregiudizi.

Leggi "Don Luigi Del Favero" della settimana scorsa.

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