L’Amico del Popolo.it
Info | YouTube

Cinque anni dopo (lettera a don Francesco Cassol)

di Luigi Del Favero

Carissimo don Francesco,
ti scrivo questa lettera nella quale non faccio altro che trascrivere il nostro colloquio di questa sera nel cimitero di Bolzano bellunese che è diventato il luogo dei nostri incontri. Tu sai che quando ne ho bisogno vengo a cercarti lì, dove tu attendi la Risurrezione. Il contenuto dei nostri incontri entra nel segreto di un’amicizia che la morte non ha interrotto; devo riconoscere che tu ogni volta mi doni serenità e mi metti in pace. Da quando i tuoi genitori ti hanno raggiunto, ancora di più la tua tomba, simile ad un santuario, è luogo di pace. Prima c’era il ricordo del loro dolore acerbo che a noi, rimasti di qua, sembrava insostenibile.
Ti scrivo per dirti che stiamo entrando nella settimana in cui riviviamo i cinque anni dalla tragedia che ti ha travolto. Perdonami, ma noi ci esprimiamo ancora così perché lo stordimento, le emozioni e gli interrogativi di quel 22 agosto 2010 sono rimasti intatti. Sei stato vittima di un incidente o di un agguato o di un terribile scambio di persona? Come misurare la responsabilità umana nella tua morte? L’oscurità di quella notte avvolta nel silenzio ha inghiottito il tuo segreto.
E dopo cosa è successo?
Sostituirti nelle tue mansioni è stata cosa lunga e dura ma, come sempre accade, il tempo ha chiuso questo capitolo e talvolta noi proviamo il rimorso della dimenticanza.
Sostituirti nell’amicizia, nelle presenza fedele, nell’intelligenza sempre originale, nello sguardo sapiente e semplice ‐ perché evangelico ‐ del tuo vedere la realtà, è cosa impossibile.
Questi cinque anni hanno piuttosto scavato il vuoto e tante volte senza di te ci siamo sentiti più poveri e soprattutto più soli. Quanto manchi!
Alcune belle pubblicazioni ci hanno restituito la tua parola e diverse iniziative hanno fatto rivivere il tuo carisma. La terra di Murgia dove sei morto è diventata luogo di pellegrinaggio per gruppi e per singole persone. Il Vescovo vi ha guidato un pellegrinaggio diocesano.
La nostalgia, il desiderio e l’amore non vorrebbero tanto il tuo pensiero e le tue opere, ma te stesso.
Ecco perché ti cerco nel tuo cimitero, ben consapevole che tu non sei lì; però in quel luogo per me è più facile sentirmi vicino a te.
Oggi ho riletto molte volte le parole che i tuoi genitori hanno voluto fossero incise accanto al tuo nome: «Il Signore mi ha mandato a portare il Vangelo ai poveri».
Sai, don Francesco, che nel nostro mondo è tornato di moda chiamare ’comunista’ e giudicare pericolosamente ’di sinistra’ colui che si interessa troppo dei poveri? Cosa direbbero di te che non parlavi molto dei poveri in astratto, ma li amavi concretamente, li cercavi e soprattutto volevi vivere da povero?
Ho sentito il tuo sorriso buono e mi sono accorto che stavi guardando da un’altra parte, fissavi qualcuno lontano. Vedevi quell’altro Francesco che il Signore ha dato alla sua Chiesa in questo tempo difficile e drammatico, anche per la fede, e ti sentivi in ottima compagnia.
Allora ti ho chiesto: «Come vedete dal Paradiso papa Francesco? Arrivano lassù le sue parole coraggiose e i suoi gesti evangelici?».
Hai riso di gusto, come sapevi fare tu e hai capovolto il mio pensiero: parole e gesti che annunciano di nuovo il vangelo ai poveri non arrivano in Paradiso, ma partono da lassù per raggiungere la nostra terra «come la pioggia, come la neve».
Ti ho chiesto ancora se sei preoccupato per noi, per i tuoi fratelli preti ai quali ti sei sentito legato come da una parentela stretta che non a caso viene chiamata fraternità. Ti ho raccontato che siamo diventati più vecchi, che siamo diminuiti di numero, che ci vedono un po’ affannati e noi stessi ci mostriamo stanchi. Ho chiesto il tuo aiuto e ti ho nominato singolarmente quelli che tenevi come amici oltre che come fratelli.
Ho percepito che tu non hai paura e non vedi problemi insormontabili. Nello stesso tempo, con il suono della tua voce, ho risentito le cose per le quali ti appassionavi. Non c’è da aver paura se mettiamo sempre al primo posto la fraternità, nella quale c’è posto per la più schietta sincerità, e se non pretendiamo di annunciare il Vangelo con metodi non evangelici. Cioè con mezzi potenti e ricchi.
Poi mi sono distratto pensando che in notti calde come quelle che ci sono date tu avresti dato libero corso alla tua abitudine di andare a dormire all’aperto, per terra, sotto le stelle.
Era l’eredità dello scoutismo che ti è rimasto nell’anima, ma ormai vivevi ogni particolare ‐ all’aperto, per terra, sotto le stelle ‐ con un significato speciale, tutto francescano, spirituale ed anche penitenziale.
Sul ricordo pieno di tenerezza si è abbattuta una nube oscura perché la morte ti ha raggiunto proprio così, facendo diventare quelle pietre sulle quali dormivi dopo un cammino faticoso, un vero altare, rivolto ad Oriente come quello delle chiese, sul quale si è compiuto un sacrificio.
In forza di quel sacrificio, con gli occhi che vedono ormai la verità, chiedi per noi le grazie che tu sai essere necessarie per noi.

Leggi "Don Luigi Del Favero" della settimana scorsa.

Copyright © 2000-2019 L'Amico del Popolo S.r.l.
Piazza Piloni 11, 32100 Belluno - tel. +39 0437 940641, fax +39 0437 940661, email redazione@amicodelpopolo.it | P.Iva/C.F. 00664920253