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Un soffio di aria fresca

di Luigi Del Favero

La spiegazione non la conosco, ma del fatto sono sicuro avendo ripetuto l’esperienza tante volte. È avvenuto in tutte le settimane calde. Al mattino ‐ tra le ore 6 e le ore 7 ‐ sono rimasto seduto davanti alla finestra dedicando il tempo, come è abitudine dei sacerdoti, alla preghiera e alla lettura. La finestra era aperta, senza per altro avvertire quel sollievo che il mattino porta con sé; è capitato in alcune giornate di sentire piuttosto il fastidio dell’aria umida e calda già nelle prime ore del giorno. A un certo momento tuttavia arrivava un soffio fresco, talvolta frizzante, sempre benefico, capace di svegliare l’attenzione e infondere la voglia di alzarsi e partire per la giornata. Ho notato che quel caro soffio precedeva di poco il sorgere del sole ed era come se lo annunciasse. Col passare dei giorni, proprio seguendo il cammino del sole che sta inesorabilmente abbassandosi, anche l’aria fresca è arrivata in ritardo. Dapprima si è trattato di un ritardo quasi impercettibile; in questi ultimi giorni lo si può ben calcolare sull’orologio. Aria più fresca, simile a un venticello che girava la pagina sulla quale mi ero fermato e forse appisolato, ma anche aumento della luminosità: sono state le caratteristiche di cui ho preso nota. Le rondini invece, negli stessi minuti, senza i nostri ragionamenti, raddoppiano i voli, passando tra le case e aumentano il volume della voce già acuta.
Ho capito meglio alcune pagine della Bibbia, nata in una terra assolata, dove la presenza stessa di Dio è paragonata al sopraggiungere di un soffio leggero. Così l’ha vissuta Elia sul monte Oreb e l’esperienza ci è raccontata in una delle pagine più belle di tutta la sacra Scrittura.
Io ho fatto un accostamento rimanendo a una quota molto più bassa e ho paragonato alla verità l’aria fresca che accompagnava l’intensificarsi della luce e annunciava l’arrivo del sole. Anche la verità giunge nella nostra fatica, nella confusione, nella nebbia, nell’intorpidimento come un soffio leggero e rischiara, porta con sé forza, infonde sicurezza. Succede così anche per le piccole verità che ci confortano in ricerche che camminano terra terra, ma generano ugualmente stanchezza.
Nelle settimane del caldo hanno parlato spesso delle discoteche, della droga che circola attorno ad esse e che fa anche dei morti; hanno ampiamente commentato alcuni provvedimenti restrittivi da parte dell’Autorità che ha imposto la chiusura di locali famosi. Ne hanno parlato in tanti e hanno detto troppo, chiamando in causa tante responsabilità e prospettando tutti i rimedi possibili. Anche l’ambulanza con personale specializzato che dovrebbe sostare vicino alle discoteche! Perché non davanti alla case di riposo e ai luoghi di lavoro dove il caldo ha fatto vittime?
Tra gli imputati ci siamo praticamente tutti: la famiglia, coi genitori in primo luogo, la scuola, la polizia, le comunità terapeutiche, i mezzi di comunicazione ecc.
Tutti imputati caricati di colpe, con l’eccezione di due, mai nominati.
Il primo è la libertà. Nessuno che ricordi che anche davanti alla droga, come di fronte ad ogni forma di eccesso e di trasgressione, l’uomo rimane libero. Se dice di sì, c’è il concorso della sua volontà libera, pur limitata o ferita. E tanti sanno usare la libertà per dire dei NO decisivi.
Purtroppo ultimamente al coro di quanti negano la libertà si sono aggiunti certi predicatori che si sono dati il compito di smascherare la presenza e l’opera del demonio e gli attribuiscono tutto il male che l’uomo compie. Non se ne accorgono, ma così fanno un grosso piacere al demonio che canta vittoria ogni volta che butta giù l’uomo, lo getta nello scoraggiamento, gli toglie la fiducia e gli fa credere che il male è ineluttabile.
La memoria della libertà – l’imputato numero uno – arriva come quel benedetto soffio di aria fresca che spazza via l’incertezza e zittisce troppe chiacchiere.
Ma c’è anche l’imputato numero due, pure questo mai nominato, anche se porta responsabilità colossali. È infatti imputabile di omicidio. Si tratta del denaro, il vero padrone di «questa economia che uccide».
L’unico che ha avuto il coraggio di smascherarlo è stato papa Francesco il quale il 12 agosto, con chiaro riferimento alle morti nei luoghi di divertimento, ha detto: «Vediamo che l’ideologia del profitto e del consumo vuole mangiarsi anche la festa: anch’essa a volte viene ridotta ad ’affare’, ad un modo per fare soldi e per spenderli... I ritmi sregolati della festa fanno vittime, spesso giovani».
È come se nel chiuso delle nostre discussioni sia entrato un vento impetuoso che gira veramente le pagine e scopre la verità, pur se spiacevole.
Perché gli eccessi con il triste accompagnamento di vittime? Perché qualcuno ci guadagna. Forse guadagnano in tanti e hanno posizioni di potere nell’economia che uccide, sulla quale Francesco torna tanto spesso.
Questo anziano Papa ci stupisce sempre di più perché mostra di conoscere e capire i problemi della nostra società in modo concreto. Sembra uno che è in contatto vero con il mondo ed è entrato in tante case, specialmente dove si soffre.
Per questo le sue parole sono simili ora alla carezza dell’aria fresca, ora alla ventata energica che scuote.
A noi rimane la libertà di aprire o chiudere la finestra, accettando o rifiutando la verità.

Leggi "Don Luigi Del Favero" della settimana scorsa.

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