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Non si lasciano ingannare

di Luigi Del Favero

«Stabile e soleggiato, con temperature oltre la media stagionale». Lo sentiamo ripetere, quasi senza interesse, da molti giorni nelle previsioni del tempo. Ma ormai ci sentiamo un po’ tutti esperti, capaci di riferire qualche particolare che documenta l’andamento strano della stagione. Il giglio ’hemerocallis’, che si apre solo per un giorno e colora di giallo anche i luoghi impervi, tra sassi e cespugli, qua e là è di nuovo fiorito.
Tuttavia la natura in genere non si lascia ingannare.
Le tinte delle foglie dei faggi sono quelle del tardo autunno; i larici, dopo una parata eccezionale, stanno già scolorendo, in alto sono addirittura spogli e gli ontani, per effetto del caldo, lasciano cadere le foglie secche svogliatamente. In altre annate è compito del vento scuotere gli alberi, portare le foglie nell’aria per un volo, prima di sbatterle a terra. Ma il vento è rimasto lontano. Noci e nocciole sono cadute: il terreno ai piedi delle piante ne raccoglie tante. Provate a cercare qualche frutto di lampone o di more: non ne troverete più uno! Le piante sembrano stanche e disordinate. Tutte queste creature non si lasciano ingannare.
Non si lasciano ingannare neppure le ombre, diventate lunghe; le montagne hanno i colori di novembre e nel cielo Orione indica la marcia verso la stagione invernale.
Qualche rondine ritardataria ha girato attorno ai campanili fino a qualche giorno fa, ma il grosso degli stormi è partito da settimane, numericamente ben rinforzato dalle feconde covate di quest’anno. I cervi hanno terminato di popolare le notti con i bramiti di ottobre.
Le malghe sono deserte da tempo e sembrano entrate nel sonno invernale, anche se qui bisogna mettere in conto il calcolo degli uomini che seguono il calendario e sanno che i pascoli già sfruttati sono diventati magri.
È solo l’inizio di un lunghissimo elenco di chi non si lascia ingannare dal clima fuori norma e si comporta secondo il ritmo dell’anno. Non si può ritardare più di tanto e soprattutto non si può ritornare indietro. Alcuni esemplari di gigli gialli che fioriscono di nuovo restano un’anomalia proprio fuori stagione.
Dunque i ritardi concessi sono minimi e i ritorni indietro sono impossibili.
Non vale solo per le stagioni, ma anche per il cammino dell’uomo nella sua storia.
Sta terminando un’estate nella quale anche nelle nostre vallate ci sono state tante manifestazioni folkloristiche e molte rievocazioni storiche. C’era il centenario della prima guerra mondiale da ricordare. Le manifestazioni hanno mobilitato tante gente e in genere hanno scaldato il cuore.
Talvolta hanno offerto l’immagine della ricerca di un rifugio nel passato. Talvolta hanno coltivato la nostalgia di patrie perdute: dall’Impero Asburgico alla Serenissima Repubblica, che non esistono più. La ricostruzione degli scenari della Grande Guerra, il ritorno delle divise di un secolo fa, dei mezzi di trasporto, delle armi, anche degli ospedali e delle Messe da campo di allora, la riscoperta dei canti degli alpini hanno trasmesso un’idea epica della guerra. Eppure si era partiti con l’intento di rievocare soprattutto la partecipazione delle popolazioni e le sofferenze della gente. Ha prevalso l’aspetto eroico e militare. Alla fine resta il ricordo di antiche potenze e di pagine gloriose, che appaiono tali soprattutto perché viste da lontano. Ma sono passate e non nutrono né riscaldano il duro presente. È vero anche per la religione e la Chiesa che non può tagliare le radici con la sua storia, ma non vive di tradizioni. Insiste tanto a parlare di identità e a difenderla chi l’ha già perduta. Chi possiede un’identità non sente il bisogno di riaffermarla ogni momento; piuttosto si apre, dialoga, costruisce rapporti, arricchisce il proprio mondo. A partire dall’identità maschile e femminile.
Il nostro vero "rifugio" è nel futuro. Purtroppo in questo momento mancano visioni e si fa fatica a formulare progetti. Ma si può vivere senza visioni? Si può rinunciare ad un progetto?
La realtà non si lascia ingannare. Basta aprire gli occhi mentre si cammina per strada e si incontrano persone che solo con il colore della pelle ci dicono che il mondo è diventato piccolo e che non esistono più rifugi dove mettersi al riparo.
Sta capitando di nuovo qualcosa che avevamo già visto. Tocca ai vecchi tenere aperta la strada verso il futuro e nutrire la speranza. Lo sta facendo in modo sorprendente papa Francesco, in ogni occasione. Anche oggi, con la voce rotta dalla commozione per i fatti sconvolgenti di Parigi e un’immensa pena che trabocca dal cuore, questo "anziano" ci radica nel presente e ci apre la prospettiva verso il futuro, spingendoci ad agire con speranza. Lo aveva fatto in modo magistrale a Firenze martedì scorso, rivolgendosi alla Chiesa italiana e usando parole antiche – quelle essenziali della fede – pronunciate con cuore giovane. Alla Chiesa sta domandando di "dimagrire", di non appesantirsi con eccessive strutture, di diventare più agile per uscire dai recinti e correre verso l’umanità. Davanti a noi non c’è un sole che tramonta, che ci vede tesi nell’impossibile sforzo di rallentare il cammino della giornata. C’è una stagione nuova, con altre bellezze, con tante sorprese. I boschi lo sanno meglio di noi. I loro alberi e gli animali che vi abitano vanno incontro alla nuova stagione senza lasciarsi ingannare e senza rimpianti.

Leggi "Don Luigi Del Favero" della settimana scorsa.

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