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San Martino al nuovo Vescovo

«Illustrissimo Renato,
nel rivolgermi a un neovescovo, che ancor profuma di crisma, forse oggi dovrei adottare il "Lei". Ai miei tempi però si usava il latino, che ci permetteva di dare del "tu" a tutti, al domestico e all’imperatore, ai genitori e a nostro Signore. Permettimi allora un tono confidenziale, tanto più ora che siamo colleghi.
Durante la tua ordinazione ho sentito il mio nome e immediatamente ho fatto il mio dovere, chinandomi davanti al volto di Dio per la tua diocesi e per te, caro Renato. Ma ti garantisco che già avevo fatto la mia parte: san Pietro mi vuole un po’ di bene e so per certo che ha personalmente messo una buona parola nell’animo di Francesco, suo successore, che ha scelto te.
Non immaginavi di diventare vescovo? Non dirlo a me... Dopo oltre vent’anni di servizio militare, desideravo dedicarmi soltanto al Signore. Ma mi fecero uscire dall’eremo e la folla, che cresceva lungo il cammino, mi trascinò a Tours e mi acclamò vescovo. I convenuti prelati arricciavano il naso, ritenendomi troppo dimesso ed eccependo sui miei trascorsi in armi. Caro Renato, io non avevo la tua preparazione, ma la vox populi fu vox Dei; e fui vescovo per sempre. Fatti coraggio, allora!
Da secoli sono patrono di questa Chiesa, che ora è tua sposa, e non ho mai considerato tale patronato come un titolo onorifico. Fu un vescovo di nome Felice a portare in Valbelluna la devozione per me, perché avevo aperto i suoi occhi alla fede. Quanto vorrei aprirli a tutti quelli che sono affidati alla mia custodia! Sarebbe per loro una rinascita, come lo fu per Felice e come lo fu per me quando mi misi alla scuola del santo vescovo Ilario.
Caro Renato, hai un nome così bello, un nome cristiano e battesimale, che diventa un augurio per la Chiesa che ti è affidata: aiutala a rinascere continuamente. Lo dico con santa invidia, perché il nome che mi impose mio padre racchiudeva un diverso progetto di vita: dovevo essere un piccolo Marte, dio della guerra. Certo, ho sostenuto molte battaglie, ma per motivi diversi da quelli che mi occupavano quand’ero soldato. Spesso ho dovuto oppormi ai potenti e ai prepotenti: ho contrastato l’ira del conte Aviziano, ho puntato i piedi contro l’imperatore Massimo; non sempre ho ottenuto giustizia, ma non ho mai piegato la schiena davanti all’iniquità e al sopruso. Anche tu grida, quand’è ora di gridare. Oggi non si ergono più ruote di tortura e patiboli, ma le persone vengono stritolate dalle malelingue, che hanno lame altrettanto funeste. Quante volte l’ingiustizia o la perfidia avvelenano i rapporti paesani e familiari! Quanto malanimo si rimpalla tra colleghi o vicini di casa!
Il territorio bellunese non è la Turenna; le "grave" del Piave non sono le rive della Loira; il secolo XXI non è il secolo IV. Ma talora la storia ripropone i suoi temi. Allora io volli che i miei preti uscissero a predicare il vangelo nelle campagne; anche tu fa uscire i tuoi e aiutali soprattutto a volersi bene, a far squadra, a stimarsi, proteggersi e aiutarsi. Io compii il mio ultimo viaggio per appianare il dissapore sorto tra i preti di Candes: dove c’è "divisione", lì opera il "divisore" che, anche se non so di greco, so che si dice "diavolo".
Forse tu resti perplesso, quando leggi che per tutta la vita ho lottato contro il demonio. Credimi però, quando ti dico che tentava anche me, mi insultava, mi rimbrottava per la mia indulgenza verso i peccati di monaci, laici e chierici. Gli rinfacciavo la misericordia di Dio; gli urlavo che, se si fosse pentito, anche lui avrebbe incontrato clemenza. Tu, Renato, che sei dottore in teologia, obietti che questa convinzione puzza d’eresia. Ma da buon teologo sai anche che il diavolo esiste e si è fatto più furbo. Rinfacciagli ancora la misericordia di Dio, tanto più in questo anno ad essa dedicato.
Perdona la mia franchezza. La vita spartana ‐ nel reggimento prima, nel romitaggio dopo ‐ mi hanno sbozzato come un boscaiolo sgrossa il tronco a colpi di scure. I vescovi della Gallia e alcuni miei diocesani mi biasimavano perché ero rude e battagliero, perché percorrevo il contado vestito come un villano. Ora però mi incontrano quassù e sorridono, quando mi vedono affogare negli abiti di bisso, di cui talora mi ammanta l’atelier di sant’Anna. L’arcidiacono di Tours abbassa lo sguardo e sorride, ricordando quella mattina in cui mi vide salire all’altare rivestito di un sacco di iuta, al posto della calda tunica da lui predisposta, che io avevo furtivamente offerto a un povero infreddolito! Caro Renato, lasciati lambire, insieme ai tuoi preti, dallo sguardo di chi se ne sta intirizzito e talora assiderato dalla vita.
Sappi che ti sarò vicino, come patrono della diocesi e collega nell’episcopato. Si associano a me Vittore e Corona, che ho incontrato prima di scriverti; ti salutano Lucano, Ermagora e Fortunato e anche Prosdocimo sul cui sostegno, venendo da Padova, tu potrai sempre contare. Valeas!
Martinus Turonensis Eps»»

Leggi "Don Luigi Del Favero" della settimana scorsa.

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