«Il fatto che l’infezione con il nuovo coronavirus Sars-Cov-2 possa determinare forme clinicamente molto lievi è un aspetto di estrema criticità. Questo perché può portare molte persone a sottovalutare le indicazioni governative alle misure di contenimento». A sottolinearlo è Stefano Calabro, direttore dell’Unità operativa complessa di Pneumologia dell’Ospedale di Feltre. Con lui abbiamo riflettuto sulla situazione pre emergenza Coronavirus, sulla condizione dei pazienti che hanno dovuto essere ricoverari, sulle terapie sperimentali attivate anche in provincia, oltre che sulla fondamentale sinergia con l’Ospedale San Martino di Belluno, centro Covid di riferimento provinciale. Ricordiamo che all’ospedale di Feltre l’area di degenza dedicata ai casi positivi Covid-19 al 4° piano del Padiglione Dalla Palma è stata chiusa dal 9 aprile e le persone ricoverate sono state trasferite all’ospedale Covid di Belluno. Al Santa Maria del Prato rimane attivo il percorso Covid dedicato e l’area per sospetti Covid al Pronto Soccorso. Eventuali pazienti positivi con necessità di ricovero vengono centralizzati a Belluno.
Prima che l’epidemia Covid-19 esplodesse, c’erano state delle avvisaglie? Casi di polmonite particolarmente aggressivi? «Il 9 gennaio 2020 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha dichiarato che le autorità sanitarie cinesi avevano individuato un nuovo ceppo di coronavirus mai identificato prima nell’uomo, in seguito classificato ufficialmente con il nome di Sars-Cov-2. La malattia respiratoria causata dal nuovo coronavirus è stata poi chiamata il mese successivo Covid-19. Il 30 gennaio, l’Istituto Superiore di Sanità (Iss) ha confermato i primi due casi di infezione da Covid-19 in Italia. L’11 marzo 2020 l’Oms ha dichiarato che il focolaio internazionale di infezione da nuovo coronavirus Sars-Cov-2 poteva essere considerato una pandemia. Questa è la cronologia ufficiale che caratterizza Covid-19. Personalmente ho osservato infezioni respiratorie a lungo decorso, nell’immediato periodo pre Covid-19, ma attribuirle al coronavirus con certezza non è al momento possibile».

Come è organizzata l’area Covid di Feltre? Come viene portato avanti il coordinamento con l’ospedale di Belluno? «Sono personalmente soddisfatto della risposta che l’Ospedale di Feltre ha espresso nell’emergenza Covid-19. Il sistema si è dimostrato proattivo e non solo reattivo. Certo non è stato facile, ma con un buon coordinamento direzionale e l’impegno di tutto il personale sanitario, siamo riusciti a garantire un’adeguata risposta al problema. Il modello organizzativo ha visto un diretto impegno del Pronto Soccorso nel limitare i ricoveri delle persone con Covid-19, che necessitavano clinicamente di assistenza sanitaria. Questo ha determinato una diffusa applicazione dell’osservazione e del trattamento domiciliare, riducendo ingressi non appropriati nei reparti. Si è così contenuto il rischio di diffondere a livello intraospedaliero l’infezione, garantendo nel contempo adeguata assistenza a coloro che sono stati ricoverati. Con questa finalità la Pneumologia è stata convertita in area Covid-19. I degenti sono stati sempre in numero accettabile e non abbiamo mai riscontrato un’evidente criticità gestionale. Il rapporto collaborativo con l’Ospedale di Belluno ci ha permesso fin da subito di riferire alla sua Terapia intensiva i casi molto gravi e ora anche di inviare pazienti con una forma clinica moderata di Covid-19».
Tra i pazienti le cui condizioni si sono aggravate ci sono stati anche casi di persone che non avevano patologie pregresse? Che erano quindi in condizioni di buona salute? «La maggior parte dei degenti presso l’area Covid-19 dell’Ospedale di Feltre era anziana e presentava una o più malattie croniche concomitanti. Tale rilievo è in linea con quanto osservato in molti altri Centri. Fortunatamente non abbiamo avuto forme impegnative in soggetti giovani nella casistica dei nostri ricoveri. Va però segnalato che una paziente è certamente deceduta per polmonite in Covid-19, senza presentare particolari concomitanti patologie».
Una domanda fatta anche agli altri suoi colleghi: cosa vi spaventa di più di questo virus? «Il fatto che l’infezione con il nuovo coronavirus Sars-Cov-2 possa determinare forme clinicamente molto lievi è un aspetto di estrema criticità. Questo perché può portare molte persone a sottovalutare le indicazioni governative alle misure di contenimento. Condivido comunque l’orientamento per un allentamento graduale delle misure, differenziato per tipologia di intervento, monitorando strettamente l’insorgenza di nuovi focolai. Un altro aspetto che colpisce è, per fortuna solo in rari casi, l’insorgenza di un peggioramento rapido e drammatico e rapido, talvolta anche nel giro di poche ore, che rende necessario intervenire per sostenere la funzione respiratoria. La ventilazione meccanica può essere necessaria in caso di insufficienza respiratoria refrattaria all’ossigenoterapia».
Le terapie messe in atto stanno funzionando? «Non esiste un trattamento antivirale specifico raccomandato per Covid-19 e attualmente non è disponibile alcun vaccino. Il trattamento deve essere basato sui sintomi del paziente. Va però segnalato che anche se non esistono ancora farmaci specifici contro il virus Sars-Cov-2 ci sono molte sperimentazioni in atto e vengono proposte nuove terapie. Il 7 aprile l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha autorizzato il farmaco antinfiammatorio Ruxolitinib per uso compassionevole nei pazienti Covid-19 con insufficienza respiratoria che non necessitano di ventilazione assistita. In base alla conoscenza sui meccanismi patogenetici di questa malattia, nelle fasi iniziali dovrebbero essere utili i farmaci antivirali, mentre nelle fasi successive del Covid-19 bisognerebbe agire con farmaci attivi sul sistema immunitario che, reagendo in modo esagerato all’attacco del virus, può danneggiare pesantemente i polmoni. Voglio inoltre ricordare che attualmente non esistono evidenze scientifiche che stabiliscano una correlazione tra l’impiego d’ibuprofene o farmaci anti-ipertensivi e il peggioramento del decorso della malattia da Covid-19. Pertanto si raccomanda di non modificare le terapie in atto». Martina Reolon
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