Da stamattina, venerdì 29 settembre, geologi da tutta l’Italia sono riuniti a convegno a Longarone per due giorni di relazioni e dibattiti in occasione del 60° anniversario del disastro del Vajont. Gran parte dei lavori è stata dedicata ai saluti istituzionali, compresi quelli dei ministri Matteo Salvini in collegamento telefonico e Nello Musumeci in un video registrato per l’occasione.
Si è posto l’accento sulla necessità di applicare le conoscenze, soprattutto nella direzione della prevenzione. E significativa è stata la lettura affidata a Pietro Semenza della memoria scritta dal padre Edoardo, geologo, che già quattro anni prima del disastro del Vajont si rese conto di ciò che poteva succedere, si accorse della paleofrana, capì che c’era una vasta porzione instabile del monte Toc e che la roccia delle pareti dell’invaso non era affatto compatta. Edoardo ne discusse con il padre Carlo, ingegnere, il progettista della diga del Vajont, che parve disposto a dargli credito. Ma il geologo Giorgio Dal Piaz non accettò quelle tesi, che purtroppo si rivelarono poi corrette. E si andò avanti. E il 9 ottobre 1963 il Toc sprofondò nel lago artificiale generando l’onda enorme che travolse Longarone e uccise quasi duemila persone. La geologia già allora aveva le conoscenze per comprendere il rischio a cui si andava incontro. Ma non si volle ascoltare, non si volle vedere. Gli interessi passarono sopra a tutto.
In questo contesto il ministro Salvini ha parlato del progetto del ponte sullo Stretto di Messina, dichiarandolo necessario e ormai di sicura realizzazione. È stato interessante ascoltare in proposito il parere espresso con equilibrio da Carlo Doglioni, feltrino, anch’egli geologo, presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia. Le infrastrutture di collegamento sono utili al progresso, per questo sarebbe utile anche un ponte tra la Sicilia e l’Africa, è stato il ragionamento di Doglioni; detto questo, tocca alla politica decidere se fare o meno il ponte di Messina. Ma ha messo le mani avanti: i terremoti in Italia negli ultimi decenni hanno costretto a rivedere – in peggio – alcune convinzioni, il progetto del ponte di Messina ha già una decina d’anni e andrebbe adeguato alle nuove acquisizioni della scienza, teoriche e strumentali; si andrebbe a operare in un contesto di altissimo rischio sismico, già epicentro di grossi terremoti. E siamo sempre lì: osservare: conoscere, fare tesoro per non ripetere gli errori del passato.
Gianpaolo Bottacin assessore regionale alla Protezione civile non si è espresso sul ponte di Messina ma ha fatto riferimento alle difficoltà che gli amministratori hanno quando si tratta di intervenire per mitigare i rischi che possono gravare sulla vita stessa delle persone. E ha parlato dei più di duemila cantieri realizzati nel dopo Vaia in Veneto, portati avanti in deroga alle leggi vista l’urgenza, andando a sistemare situazioni pericolose che non si sarebbero affrontate in tempi brevi nell’ordinarietà del quadro legislativo. Duemila cantieri senza fare scempi paesaggistici, ha sottolineato Bottacin. Come dire: gli amministratori non sono degli scriteriati, sanno e saprebbero cosa fare, ma basta il ricorso di un sindaco (il riferimento non è stato casuale) per bloccare per anni la realizzazione di opere necessarie alla sicurezza.
Bottacin ha anche parlato della frana di Cancia, a Borca di Cadore, ricordando i due morti di alcuni anni fa, quando una colata investì a loro casa. Avevano avuto il permesso dal Comune di ristrutturare, anche se le relazioni geologiche parlavano chiaramente di rischio. «E parliamo di realizzare il Villaggio Olimpico proprio lì, dov’è la frana?».
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2 commenti
Francesco Facchinato
Non sono stato personalmente al villaggio olimpico ma ricordo che me ne parlava il geom Bosco che aveva lavorato con lo studio dell’arch progettista.
Mi sembra di ricordare che il villaggio si trova sul versante destro ma ben più in alto del canalone dove scorre la colata detritica e in posizione a mio avviso sicura.
Molti anni fa feci una proposta per la soluzione del problema degli accumuli a valle con la realizzazione di un muro di contenimento a contrafforti disposti a raggera e una distributore a cucchiaio per gli inerti in arrivo dal canalone.
La proposta piacque all’allora dirigente ing.Mariano Carraro ma proprio l’ing. Bottacin, allora assessore alla PC provinciale, preferi andare a Torino dall’ing Tropeano che partorì l’idea di accompagnare la colata detritica al Boite. Che non ebbe seguito. Perchè irrealizzabile.
Suggerisco al collega Gianpaolo di farsi un giro a Cancia prima di esprimere giudizi avventati.
Francesco Facchinato
Sarebbe interessante vedere i commenti.
Anche il mio che ho appena fatto.
O vale solo per la redazione?
Grazie