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domenica 8 Giugno 2025,

Il funerale di don Lorenzo Dell’Andrea

Il ricordo della sua grande figura e la gratitudine di tante persone espressi durante i funerali di don Lorenzo.

In quasi tutti i funerali si usa ancora celebrare la Messa. Il suo nome proprio – ce l’hanno insegnato a catechismo – è “Eucaristia”, cioè rendimento di grazie, un momento di gratitudine. Si prega per il defunto, invocando la misericordia di Dio; si prega per chi – parenti e amici – più di altri sente il momento del distacco; ma soprattutto si dice “grazie” per il segno lasciato dal defunto nel mondo.

Nel caso del funerale di don Lorenzo, celebrato lunedì 11 marzo in Cattedrale a Belluno, si è sentita la gratitudine nel canto corale della sua diocesi e di tanti sodalizi che a lui erano legati: «Al nostro grazie, si aggiungono le numerose attestazioni ricevute in questi giorni: dalle istituzioni, dai sindacati, da Confindustria, dall’associazione Bellunesi nel Mondo, dal Rotary Club, dal CTG, dal Centro Sportivo Italiano, dall’Unitalsi», come ha ricordato don Davide Fiocco, direttore dell’Ufficio diocesano per le comunicazioni sociali, prima del rito dell’ultima raccomandazione.

Sul presbiterio una presenza corale dei preti della diocesi e del vescovo emerito Giuseppe. La grande navata piena di persone che lo hanno conosciuto. In prima fila, a fianco del sindaco di Belluno, i familiari di don Lorenzo e una rappresentanza del comune di Selva di Cadore, «Desota l Pelf», sua terra natia, che don Lorenzo amava visceralmente: l’associazione “Union Ladign da Selva” aveva fatto pervenire al Vescovo un ricordo delle pubblicazioni in ladino e a sostegno del ladino di Selva, curate da don Lorenzo. Lo stesso che compilò un vocabolario “talian-selvan”. «Prèe Laurenz, duta la dent de Selva la vol ve dì domai: gramarzè!».

Nell’omelia il vescovo Renato Marangoni ha ricordato: «Ci preoccupava nelle scorse settimane lo stato di salute di don Lorenzo. Non sembrava, però, che egli stesse preparando l’attraversamento del grande valico della vita. Nei giorni prima di martedì scorso, dopo un momento di stacco, don Lorenzo si era rimesso a camminare. Il suo pellegrinare mattutino lo faceva arrivare qui in Cattedrale per la celebrazione dell’Eucaristia. Come sempre il suo camminare doveva giungere alla meta prefissata, magari cercando momentanei e furtivi appoggi. Quando lo si incontrava si sperimentava il suo tratto gentile e nobile. La sua parola – ponderata e saggia – permetteva di intravedere la ricchezza enorme delle sue competenze, dei fronti aperti del suo ricercare, del suo ideare, del suo operare».

Commentando la lettura del profeta Isaia ha soggiunto: «Isaia è un testimone di quest’arte profetica. Ci sono persone che hanno il dono di guardare al di là, oltre il presente e di percepire l’avanzare di tempi nuovi verso cui protendersi, mettendo a rischio le proprie risorse di pensiero, di credibilità, di ministero. Don Lorenzo è stato perspicace nell’intravedere il nuovo che avanzava. Nel complesso mondo della comunicazione egli è stato un pioniere, un po’ solitario, ma un autentico apripista». Ma ha anche raccomandato di «rilevare l’intento apostolico con cui don Lorenzo ha messo a servizio del Vangelo la ricchezza dei talenti che il Signore gli ha consegnato: “Tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io”».

Nella chiusa dell’omelia, il Vescovo ha toccato i tasti della poesia, citando due pensieri scritti da don Lorenzo, nel 2018, come suo “testamento spirituale”. Anzitutto l’ultima frase: «Chiedo perdono a Dio e a tutti per quanto non ho fatto e per tutto ciò che ho fatto male, confidando nel perdono e nella “carezza” accogliente di Dio e chiedendo a tutti perdono e benevola comprensione».

E poi, un riferimento alla morte di san Giovanni della Croce, così descritta in una biografia: «“Si fece buio. Ma fu un attimo”. Che anche per me quel “buio” duri solo “un attimo” e dio mi accolga nella sua Luce, partecipe della sua Vita, per i meriti di Gesù Cristo, morto anche per me peccatore, e risorto».

Anche nell’ultima raccomandazione si è ricordato che di don Lorenzo resta soprattutto «l’immagine di un imprenditore, un uomo intraprendente, che dai colleghi insegnanti alla ragioneria apprendeva le regole da portare nella gestione economica dell’Opera San Martino». Resta l’immagina di un prete che voleva essere giornalista a tutto tondo: direttore, redattore, scrittore, cineoperatore, telecronista… «Ma la passione giornalistica non nascondeva il prete: la cura dei particolari nei pellegrinaggi in Terra Santa o a Lourdes, le liturgie preparate per quelle occasioni, le Giornate della sofferenza organizzate con l’Unitalsi in giro per la diocesi. Anche il foglietto “Domenica” che anima le nostre liturgie festive è stato una sua iniziativa».

Nel “rendimento di grazie” la diocesi non ha potuto dimenticare i trent’anni di direzione del settimanale diocesano “L’Amico del Popolo”, che don Lorenzo ha traghettato dai caratteri mobili alla tecnologia digitale; qui c’era anche la gratitudine di tanti dipendenti che hanno avvertito la fiducia del “Capo” che li spronava a diventare giornalisti professionisti. Don Lorenzo fu tra i fondatori della Federazione Italiana Settimanali Cattolici. E poi la fatica nel guidare la Tipografia Piave, la Plavis Viaggi, RadioPiave, il rilancio del Centro Giovanni XXIII, la Casa per ferie, l’Istituto Sperti.

«Nel 1995 si accollò personalmente il salvataggio e il rilancio di Telebelluno», che gli ha reso «omaggio, trasmettendo in diretta questa celebrazione. Posso attestare – ha detto don Davide – che negli incontri nazionali degli Uffici stampa diocesani, il nome di don Lorenzo è spesso citato e associato al caso quasi unico di Telebelluno».

Si narra che un tempo, mons. Giovanni Maria Sartori, arcivescovo di Trento, abbia detto a un prete della nostra diocesi: «Voi di Belluno non vi rendete conto di chi è don Dell’Andrea». E invece ce ne rendiamo ben conto. «Aveva un carattere granitico, ma non mancava un suo biglietto o una mail con caratteri cubitali nei passaggi della vita. Un prete che osava “perdere tempo” fermandosi a parlare con le persone».

Don Lorenzo non voleva essere chiamato “Monsignore”, anche se lo era per nomina pontificia. Spesso ai suoi ex alunni parlava in latino e tale è stato l’ultimo augurio: «Frater Laurenti, vivas in Christo».

Come da tradizione, al canto del Magnificat, tutto il presbiterio, i diaconi, i due vescovi presenti hanno accompagnato la salma sulla porta della Cattedrale. Poi l’ultimo viaggio verso il cimitero di Prade, dove è stata sepolta nella cappella dei canonici.

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