La notizia dell’improvvisa morte di don Fabio Cassol ha raggiunto anche l’Albania. E non poteva essere diversamente, visto il profondo legame che univa don Fabio a quella terra e alcuni albanesi a don Fabio. Tra di loro, Albert Nikolla, che ha cominciato il suo curriculum qui da noi, mentre era ospite di don Fabio nella canonica di Pez. Era già laureato in Scienze agrarie e ambientali all’Università di Tirana. Qui a Belluno si iscrisse all’Istituto di Scienze Religiose, conseguendo il diploma. Poi continuò con il master in Etica presso l’università Pontificia “Regina Apostolorum” a Roma e infine con il dottorato in Scienze antropologiche all’Università di Firenze. Oggi è autore di alcune pubblicazioni in Italia, tra cui L’uomo Nuovo Albanese – tra morale comunista e crisi della transizione (Bonanno Editore, 2011). Presente ai funerali dell’amico don Fabio, gli poniamo alcune domande.
Rientrato in Albania, che cosa ha potuto portare dell’esperienza in Italia?
«Sono stato docente di Etica e antropologia presso l’Università Cattolica “Nostra Signora del Buon Consiglio” a Tirana. Poi sono stato direttore della Caritas nazionale Albanese e portavoce della Conferenza Episcopale Albanese. Poi l’impegno in politica, prima come consigliere del primo Ministro per gli Affari Sociali e poi viceministro della Sanità dal 2021 al 2023. Ora sono membro del Consiglio Direttivo degli Archivi di Stato e Redattore responsabile per la religione della Nuova Enciclopedia Albanese presso l’Accademia delle Scienze d’Albania».
Com’è stato il suo primo incontro con don Fabio?
«Il mio primo incontro con don Fabio è avvenuto nel porto di Trieste nell’agosto del 1994. Avevo finito un corso post universitario a Bari e avevo trovato lavoro in una azienda agricola a Vicenza: era una vera schiavitù, con 14 ore di lavoro al giorno per uno stipendio di 800 mila lire. In quell’incontro abbiamo iniziato a parlare dell’Albania e delle mie letture di Buzzati: curioso che lui fosse stato parroco a Visome, nel cui territorio Buzzati era nato. Mi disse: “Devi liberarti da quella schiavitù e se non riesci, mi puoi chiamare”. E mi diede il numero di telefono. Fu la mia salvezza».
Com’era don Fabio in Albania?
«Don Fabio è stato per me come un padre. Ha aiutato me e tanti altri miei compaesani a trovare casa e lavoro e ha creato le condizioni per decine di persone di avviarsi verso una vita dignitosa. Permettetemi un ricordo particolare: al mio arrivo nella canonica di Pez mi sembrava di essere parte di un romanzo, come l’incontro di Jean Valjean con monsignor Myriel nei Miserabili. Valjean fuggitivo dal carcere e io fuggitivo dalla desolante Albania. Ho provato anche io lo stesso stupore e non comprendevo come fosse possibile che una persona mi aiutasse senza chiedere nulla in cambio. Le “incomprensioni” continuarono anche dopo i primi tempi. Una volta si presentò in canonica una famiglia straniera e non cristiana. Lui mi disse che dovevamo trovare il modo di aiutarli. Rimasi un po’ stupito e gli dissi che lui aveva aiutato me, ma che questa famiglia non era nemmeno cattolica. Mi disse: ‘‘Il Signore ci dice di aiutare tutti gli esseri umani perché tutti sono stati creati ad immagine di Dio’’. Fu una svolta importantissima nel cammino della mia fede. In canonica non c’erano più camere e lui trovò la soluzione: finché non troveremo un lavoro e una casa per loro, possiamo sistemarli nelle aule del catechismo. Così ogni sabato per alcuni mesi abbiamo sgomberato le aule. Ci furono “incomprensioni” sul suo operato anche da parte di alcuni parrocchiani e – devo essere sincero – anche tra qualche confratello. Queste incomprensioni mi hanno portato in mente sempre la vicenda degli apostoli nel Vangelo: diverse volte gli apostoli “non comprendono” e penso che la nostra fede ha davvero bisogno delle incomprensioni, altrimenti rischia di diventare debole».
Com’è stata la vita nel bellunese, a Pez? E il percorso all’Istituto di Scienze Religiose?
«Mi sento un figlio adottivo dei bellunesi. Amo talmente tanto questa terra, che non saprei distinguere questo amore da quello per il mio paese. A Pez ho conosciuto alcune persone eccezionali, con le quali continua tuttora una amicizia bella. È stata fondamentale l’esperienza nel Bellunese per la crescita e maturazione umana e cristiana perché ho incontrato persone di una fede autentica. Don Fabio, vedendo il mio interesse a capire di più la dottrina della fede a cui i miei genitori ed io appartenevo, mi incoraggiò ad iscrivermi all’ISSR di Belluno, del quale conservo bellissimi ricordi di professori e studenti. Dopo gli studi ho ripreso a studiare i classici della letteratura italiana e mondiale, rileggendoli in una nuova luce di fede».

Quale può essere l’eredità spirituale di don Fabio per la nostra diocesi e per la vostra realtà albanese.
«L’eredità di don Fabio come prete e come missionario s’inserisce perfettamente nella grande storia missionaria della diocesi di Belluno-Feltre. Ho sempre osservato l’attività della diocesi come un forte richiamo missionario e questo fatto mi ha reso felice. Quand’ero sagrestano a Pez, ogni mese avevamo come ospiti dei missionari. L’eredità di don Fabio penso che si concentri in tre parole chiave: le incomprensioni, l’andare a oltranza e la radicalità. Come dicevo sopra, come cristiani, non dobbiamo preoccuparci delle incomprensioni del mondo, quando viviamo pienamente la nostra fede. Questo dovrebbe essere di esempio per le nuove vocazioni che spesso mancano. Don Fabio ha aiutato sempre il prossimo ‘‘a oltranza’’: anche quando le possibilità erano veramente scarse, ma non si è mai fermato. La fede ci chiama sempre ‘‘ad oltranza”. Don Fabio ha vissuto la sua fede in maniera radicale, era un “povero in spirito”, com’è detto nel Discorso della Montagna. Lo posso testimoniare davanti a tutti voi, suoi confratelli (lo sta dicendo a un prete, ndr). Per l’Albania è stato come un padre, che ha visto la miseria umana e spirituale dei suoi figli e si è dato da fare per evangelizzare le persone nelle zone più remote ed impervie della nostra terra portando lì la Parola di Dio. Pregherò sempre per lui».
Davide Fiocco
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1 commento
Rita S.
Bellissima testimonianza. Non ho avuto l’onore di conoscerlo, ma questa intervista mi ha fatto venire in mente un altro grande sacerdote, simile per certi versi : don Claudio Sacco. Che il Signore ci dia la grazia di poter avere tra noi simili testimoni, ne abbiamo bisogno.