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giovedì 26 Giugno 2025,

Famiglie, i governi con il braccino corto

L’inverno demografico italiano è sotto gli occhi di tutti. Ma l’Italia quanto spende, al di là delle solite promesse e dei proclami a favore di telecamera?

«Mille euro bastano per fare un figlio?» era il titolo provocatorio del servizio che vi avevamo proposto la scorsa settimana in prima pagina. Pochi giorni fa un contributo dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani (Ocpi), organo di ricerca dell’università Cattolica di Milano, torna sul tema, con un commento preoccupato: la spesa pubblica per la natalità nel nostro Paese resta bassa. L’inverno demografico italiano è sotto gli occhi di tutti: nel 2023 il numero medio di figli per donna in Italia è stato 1,20, vicino al minimo storico del 1995 (1,19). Dalla metà degli anni ’80, il dato oscilla tra l’1,2 e l’1,4, ben al di sotto della cosiddetta “soglia di rimpiazzo” che è di 2,1. Ad aggravare il quadro l’aumento d’età media delle donne al parto. Ma quali fattori determinano il livello di natalità e ne possono quindi invertire l’attuale, persistente tendenza al calo? Fondamentale risulta la generosità delle politiche pubbliche a sostegno della famiglia: «più elevata è la spesa pubblica – per congedi parentali, asili nido e detrazioni per figli a carico», ricorda l’Ocpi, «maggiore potrebbe essere la propensione a decidere di avere un figlio».

E l’Italia quanto spende, al di là delle solite promesse e dei proclami a favore di telecamera? In effetti nel 2022 c’è stato un aumento sostanziale per effetto dell’introduzione dell’Assegno Unico Universale, che ha inglobato e potenziato i precedenti sussidi, accrescendo la spesa totale di cinque miliardi (al netto dell’inflazione). «La modesta crescita tra il 2023 e il 2025 (+1,1 miliardi) si deve soprattutto alle misure più recenti (decontribuzione e bonus bebè) e al potenziamento dei congedi». Ma se la confrontiamo con gli altri Paesi europei, osserva sempre l’Ocpi, scopriamo che gli ultimi governi, per natalità e famiglie, hanno ancora i “braccini corti”: nel 2022 l’Italia spendeva per la famiglia quanto la Spagna in percentuale al Pil, ma 0,7 punti meno della Francia, 0,8 meno della media europea, 1,1 punti meno della Svezia e quasi due punti meno della Germania.

Oltre alla quantità della spesa, a influenzare le decisioni delle coppie è anche la sua qualità e misure che abbassano le rette per gli asili nido e che sostengono il reddito dei genitori sembrano più efficaci rispetto ai bonus. Inoltre pesano sulla scelta di avere un figlio anche le aspettative sulla stabilità delle misure, e in Italia le ultime introdotte non sono strutturali, ma solo rinnovabili di anno in anno. Infine, si osserva, la spesa per la natalità in Italia è costituita per oltre il 90% da trasferimenti monetari che integrano il reddito dei beneficiari.
«Ma il reddito non è l’unico fattore che determina la stabilità economica di una famiglia. A questa concorrono anche le prospettive di carriera stabili, che le donne spesso non riescono a conciliare con la maternità». Sarebbe meglio, cioè, dirottare più risorse verso migliori servizi pubblici per conciliare vita familiare e lavoro. Ma l’ultima revisione del Pnrr pare orientata nella direzione opposta, avendo rivisto al ribasso gli impegni sui nuovi posti negli asili nido: da 264 a 150 mila posti. E studi recenti dimostrano che un aumento del 10% nella spesa pubblica per i nidi corrisponde a un aumento del 2,8% del tasso di fecondità. Insomma, dopo tanto parlare, ancora una volta la montagna (leggi governo) ha partorito il topolino. E il declino demografico presto presenterà il conto.

Alberto Laggia

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