Sabato 22 febbraio circa mille persone sono scese in piazza a Belluno, in contemporanea con altre città italiane, per esprimere il proprio dissenso nei confronti del Ddl 1660, noto come “Ddl Sicurezza”. L’iniziativa nasce dalla forte contrarietà emersa durante un’assemblea pubblica svoltasi il 18 gennaio 2025, alla quale hanno partecipato numerosi cittadini. Da questo incontro è scaturita la necessità di organizzare una mobilitazione contro quello che i manifestanti definiscono un provvedimento politico repressivo. Per coordinare l’azione è stata costituita una rete locale, che ha promosso un appello condiviso da circa quaranta realtà civili e politiche della provincia.
In testa al corteo si sono schierati molti studenti della Rete degli Studenti Medi di Belluno, che hanno esposto uno striscione con la scritta «Contro la vostra repressione, no Ddl 1660».
«Noi studenti, con questa manifestazione, vogliamo esprimere chiaramente la nostra posizione» – ha dichiarato Erika Satka, dell’esecutivo provinciale della Rete degli Studenti Medi di Belluno – «La “sicurezza” di cui parla il Governo con questo disegno di legge non è quella di cui abbiamo bisogno. Preferiremmo investimenti per infrastrutture scolastiche sicure e una revisione del sistema dei tirocini, spesso sinonimo di sfruttamento». Satka ha poi aggiunto: «Ci accusano di non avere prospettive, di non sviluppare un pensiero critico a causa delle tecnologie che ci distraggono. Ma togliendoci la libertà di pensiero pensano davvero di risolvere qualcosa? La migliore forma di espressione è scendere in piazza e vedere tutte queste persone dimostra quanto sia importante».
A preoccupare particolarmente gli studenti è anche l’articolo 31 del disegno di legge. Serena De Marchi, rappresentante della Rete degli Studenti Medi del Veneto, ha espresso le sue perplessità: «Con questo ddl le università saranno obbligate a collaborare con i servizi segreti, monitorando l’attività politica degli studenti e segnalando chi si organizza in collettivi o esprime dissenso. Stanno cercando di farci capire che chi lotta e si espone subirà conseguenze». De Marchi ha poi sottolineato come, secondo i manifestanti, il provvedimento miri a reprimere il dissenso: «Sanno che se scuole e università diventano davvero luoghi di pensiero critico e organizzazione, il loro sistema potrebbe vacillare. Per questo vogliono impedirci di lottare contro precarietà, sfruttamento e autoritarismo».
Nel corso della manifestazione, alcuni partecipanti hanno espresso forti critiche nei confronti delle politiche governative, denunciando quella che ritengono una gestione repressiva delle proteste e una mancanza di attenzione verso i problemi sociali ed economici del Paese. La mobilitazione di Belluno si inserisce in un quadro più ampio di contestazioni che, in questi giorni, stanno attraversando diverse città italiane, coinvolgendo studenti, lavoratori e attivisti.
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5 commenti
Tomaso Pettazzi
Magari, così, en passant, a scuola potrebbero imparare a scrivere. Nel cartellone a destra è scritto “dissenzo”. Io scrivevo “dissenso”. Ma erano altri tempi.
Luigina Malvestio
Caro Tomaso, in questo contesto non cercherei la pagliuzza (che non si legge neanche bene) quando sono in ballo le libertà fondamentali. Vedi per esempio l’attacco macroscopico e inaudito della libertà di pensiero e di espressione nelle università. Sono d’accordo con te: oggi la scuola non mette i ragazzi in condizione di saper scrivere e leggere con un livello decente di competenza. Ma sarà colpa degli adolescenti di oggi?
Francesco Facchinato
E bravo Tomaso.
Contento di rileggerti.
Dopo mezzo secolo!!!
Luigina Malvestio
Caro Tomaso, in questo contesto non cercherei la pagliuzza (che non si legge neanche bene) quando sono in ballo le libertà fondamentali. Vedi per esempio l’attacco macroscopico e inaudito della libertà di pensiero e di espressione nelle università. Sono d’accordo con te: oggi la scuola non mette i ragazzi in condizione di saper scrivere e leggere con un livello decente di competenza. Ma sarà colpa degli adolescenti di oggi?
Tomaso Pettazzi
Sono d’accordo. Ciò non toglie che la comunicazione deve essere il più corretta possibile. E gli errori la deprimono. Ma anche nei giornali non va meglio, dopo che è stato eliminato il correttore di bozze.