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giovedì 26 Giugno 2025,

Quei giorni d’inverno a legare le frasche con le “sàche”. Quanta manualità perduta

La seconda puntata della rubrica «Chi semina raccoglie»

Nel pieno dell’inverno il nostro orto appare desolato, se non fosse magari per qualche verdura che abbiamo in serra o per un’aiuola di radicchio grumolo verde che è in paziente attesa dei primi tepori di marzo per rigermogliare. Ma questa stagione è propizia per pensare a nuovi progetti, a come riorganizzare l’orto, per effettuare la manutenzione degli attrezzi, per qualche buona lettura.

Era, una volta, anche il tempo per andare a “frasche di fagioli”. Oggi i sostegni per questa preziosa leguminosa per lo più si acquistano: belle canne di bambù, dritte, tutte uguali, mentre una volta si ricavavano dal bosco, e spero che qualcuno lo faccia ancora. Ricordo benissimo le mattinate trascorse nel ceduo, roncola in mano, a sfoltire ceppaie per lo più di nocciolo, tagliando i polloni di 2-4 anni, grossi alla base un po’ più di un pollice e lunghi 2-3 metri. In Cadore mi pare si utilizzasse l’abete rosso. Ora tutti i boschi della Valbelluna si sono sviluppati molto, gli alberi sono diventati più grandi, la struttura della foresta è cambiata e, per esempio, nel nostro bosco in Talvena, dove ogni anno si facevano 30-40 o più frasche, non se ne trova oggi più una, e così da molte altre parti: i noccioli, all’ombra, crescono male.

Nel bosco le frasche venivano riunite in gruppi di 15-20 e legate assieme con le “sàche”, che altro non sono che germogli di nocciolo non dell’anno in corso e privi di rametti, attorcigliati in modo sapiente con le mani fino ad ottenere una sorta di legaccio flessibile. È un’abilità, oggi per me quasi del tutto inutile, di cui vado ingenuamente fiero. Quanta manualità che è ormai andata persa con l’abbandono di queste belle tradizioni.

Le frasche vecchie durante l’inverno venivano private a colpi di roncola della parte eventualmente malsana che era stata nella terra e veniva rifatta la punta (“spizàr frasche”). Ciascuna frasca poteva durare qualche anno, cosicché in ogni inverno, o ad anni alterni, ne venivano sostituite solo una parte di quelle utilizzate. La frasca di nocciolo o di altra latifoglia andrebbe pure meglio di quelle di bambù, la cui superficie troppo liscia lascia spesso scivolare verso il basso l’intera pianta di fagioli/tegoline pesante e carica di baccelli, sempre che la stessa non si possa ancorare a un filo metallico di interconnessione fra i sostegni o a un altro tutore vicino.

Michele Cassol

Leggi anche la prima puntata della rubrica: L’aglio, nel silenzio dell’inverno un germoglio verde

1 commento

  • Mi pare che le Sache che servivano a legare non erano ricavate più frequentemente dai salici da vimini che avevano la corteccia color giallo-arancio?

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