Nono, pèchila1 era per mio nonno come un ordine-preghiera per cui appena possibile mi portava a vedere il treno in stazione.
Ci stavamo ore intere perché, veder respirare e sbuffare le locomotive coi soffi del vapore, non stanca mai e ogni attesa affascina: chissà se sarà forte o piano e il getto frettoloso o lento, e bianco o grigio o nero o denso il fumo oppure leggero di tremolante aria trasparente appena blu. – Dipende dal carbone – mi spiegava il nonno – che continuava nei dettagli ovviamente a me incomprensibili, ma mi piaceva sentirlo e non mi stufavo mai.

La postazione col cannone girevole dell’acqua da stivare nel retro-macchina per alimentare il generatore del vapore (e bagnare anche il ‘coke’2) era un altro dei miei posti preferiti e lì incontravo gli uomini neri che altro non erano che fuochisti e macchinisti sporchi del loro lavoro e che presto avevo cessato di temere. Con la catena si tiravano appresso il tubo fino al cassone e poi aprivano la doccia che scrosciava con forza e spostava l’aria che aveva un profumo speciale, non un semplice odore, per me che l’ho ancora precisamente in mente. Ogni tanto mi lasciavano perfino vedere la fornace, con lo sportellone aperto come l’inferno, mentre la imboccavano a grandi palate per mandare la caldaia in pressione: altri odori e rumori tra fischi e sibili in attesa del primo cigolio della ruota lucente in presa di spinta finalmente sul binario, con le leve oliate stressate dal pistone e la raggiera rossa sulla ghisa grigia delle ruote motrici e la lamiera nera sulla grande pancia della locomotiva.
Prima il rumore, poi il colpo deciso del vapore e su lo sbuffo che dalla ciminiera prendeva forma in attesa del secondo e poi degli altri, ad intervalli sempre più brevi mentre iniziava la corsa! Che affascinante bellezza, che forza!
Mi ricordo perfino il nome ‘La Seiequaranta’ e non capivo come mai il nonno ci tenesse a fare il frenatore piuttosto che provare a salirci su tutti i giorni a ‘guidarla’.
Mi piaceva però anche il deposito dove dormivano e aspettavano i vagoni, ma soprattutto la fossa in cui le motrici venivano costrette e fatte ruotare per invertire la direzione di traino e poter ritornare da dove erano arrivate. Rare volte mi faceva salire su una carrozza e si andava fino a Ponte contando su una immediata coincidenza, ma mi piaceva più guardare da fuori, soprattutto quando cominciarono ad arrivare, snelle e frivole come ballerine, le littorine3 diesel, più scorrevoli e veloci, meno rumorose nel motore e quasi in grado di azzerare il piccolo scossone ripetuto ad ogni fine rotaia, due volte per ogni vagone, indizio e misura di velocità quando i rumori quasi coincidevano. Ma il treno, quello vero, è sempre rimasto l’altro.

PARENTESI FERROVIARIA E CONSEGUENZE

Non sapevo, e neppure mi interessava allora conoscere, che per anni la linea ferroviaria cittadina avesse avuto in Belluno la stazione terminale della tratta proveniente, via Feltre, da Treviso. Il primo capolinea della città aveva perciò avuto una vita travagliata e il treno arrivava in una zona più prossima al centro4, qualche centinaio di metri più a sud, dove ora ci sono le scuole Gabelli, sul limite di via Segato, tanto che i giardini che oggi sono quelli di Piazza Cesare Battisti erano allora di fronte alla vecchia stazione5. Le foto d’epoca evidenziano bene la situazione specialmente se si fa riferimento alle cupole ramate di palazzo Coletti6 e al monumento ai Caduti che lo caratterizzano sull’area nord, tuttora ammirabili nel medesimo sito.

FOTO STORICHE
La linea Treviso-Feltre-Belluno era stata inaugurata finalmente, dopo anni di progetti controversi e lavori complicati, nel novembre del 1886. Mio nonno aveva fatto a tempo di lavorarci negli ultimi anni prima della demolizione e aveva assistito alla contemporanea costruzione della nuova stazione7 con tutti gli edifici di servizio8 che erano stati pressoché completati nel 1928.

La scelta di far arretrare la ferrovia fino a ridosso della Vignetta9, la china a pusterno su cui sorge ‘Villa Morassutti’, era stata suggerita dalla opportunità di prolungare la tratta fino in Cadore10 e di completare quindi l’anello con la connessione su Vittorio Veneto, a sud, via Fadalto, tramite lo snodo di Ponte nelle Alpi11. Il problema era legato alla necessità di creare la galleria e il viadotto di superamento del torrente Ardo12 nel posto più idoneo senza dover impegnare i treni in mille manovre di deviazione e riallineamento.
Così la linea, che prima stava di fronte alla Caserma Fantuzzi13, finì col passarle appena dietro come è proprio nella situazione attuale e tutta l’area dismessa fu soggetta ad un grande progetto di trasformazione in zona dedicata alle scuole. In una ventina d’anni, dentro e dopo il periodo fascista, vennero realizzate le scuole elementari Gabelli14, un vero modello all’avanguardia, addirittura con propria palestra polifunzionale (sala teatro, canto, piscina, orto botanico, frutteto).




A fianco venne realizzato, nel 1926, il fabbricato dell’Opera Nazionale Balilla (ONB), nome poi mutatosi in GIL ovvero ‘Casa della Gioventù Italiana del Littorio’15. Anche questi edifici presentavano spazi per manifestazioni teatrali, cinematografiche e, soprattutto, sportive. Lo stile è quello tipico dell’era fascista che lasciò notevoli altri segni in città: nel nuovo Palazzo delle Poste che andò a sostituire le vecchie carceri, in altri edifici e nei giardini di Piazza Campedel, dove fu anche realizzata una grande base di pietra scavata a ‘fasci’ per il pennone porta stendardi (poi distrutto assieme al sistema politico di riferimento).

Nel periodo post bellico, fu ricostruito il Liceo Tiziano16, inaugurato nel 1951.

Di ciò non ho memoria, anche se già c’ero: mi ricordo invece della edificazione, a suo fianco, della Scuola Media Ricci17, che in seguito frequentai quando sapeva ancora di nuovo, sfruttando, per la ginnastica, la palestra del Tiziano dato che quella specifica della nuova scuola risultava ancora in progetto18.

L’area della stazione era cara a tutta la famiglia per varie ragioni anche perché il nonno, dopo il trasferimento a Fener, comunque si fermava a salutarci spesso e l’appuntamento, col bel tempo, era ai giardini della nuova area, realizzati dal 1940 sulla collinetta ad est raccordata alla Vignetta, abbelliti con piante, vialetti, sedili di bianco marmo, scale e balaustre19. L’ideale per portarci con tranquillità i bambini a giocare con pochi pericoli da sorvegliare dato che le madri se la chiacchieravano fitto. Credo di avere un centinaio di foto fatte sul luogo che evidentemente conferiva all’orgoglio delle nostre genitrici!
Oggi le panche sono in PVC e, dopo la fine della leva obbligatoria e l’agonia delle caserme fino alla quasi loro chiusura totale, è arrivato nel piccolo parco un monumento al mulo e al suo conducente20 a incuriosire i giovani che neppure si immaginano cosa abbia significato il binomio21 nella lunga storia locale degli Alpini.
- Non so la genesi del nome ‘Pèchila’ con cui indicavo la motrice del treno a vapore. Erano i misteri del ‘petèl’ ossia di quel tentativo di linguaggio dei bambini, persistente e sempre in evoluzione perché meno sollecitato alla correzione che non oggi. ↩︎
- Nome di un particolare tipo di carbone, genericamente usato per tutti gli altri. Il fuochista lo bagnava per diminuire la polvere che ad ogni palata dal deposito al focolare immancabilmente si alzava. ↩︎
- La sigla delle littorine poteva essere ALB (Automotrice Leggera Benzina) o ALN (Automotrice Leggera Nafta) seguita da un numero che indicava i posti (‘ALB48, ALN56, ALN72’). Nella foto, sia queste carrozze automotrici (diesel) che il treno percorrono il viadotto sull’Ardo appena fuori della galleria della Vignetta che lo separa dalla stazione di Belluno. ↩︎
- L’area piana appena fuori del Centro, fino ad allora usata a scopo agricolo, era denominata ‘Favola’. ↩︎
- “Il treno giunse a Belluno nel 1886. La stazione non era ubicata nel luogo dov’è attualmente, ma più a sud-est nello spazio ora occupato dalle scuole elementari ‘A. Gabelli’ e da Piazzale Cesare Battisti, la parte estrema della Favola. La consuetudine di ornare le stazioni con piccoli giardini, corredandole di parchi pubblici su scala minore, mise in moto la volenterosa attività di Giorgio Pagani Cesa, ingegnere del Comune. Una cronaca dell’inaugurazione del nuovo capolinea c’illustra l’aspetto dei giardini allestiti per l’occasione che, ‘ispirati ad una sorta di piccolo square, risultano oscillare tra situazione formale ed esito paesaggistico. Era stato creato con ‘ammirevole naturalezza’ uno spazio verde composto da conifere, piante esotiche e fiori; fra il verde furono poste gabbie d’uccelli. Il tutto fu reso solenne da un adeguato apparato statuario: un busto ligneo di Vittorio Emanuele, opera del Besarel, una statua d’alpinista del Giacomini e i busti di bronzo raffiguranti re Umberto e Garibaldi. Il gradimento del pubblico fu pieno e si operò in modo da rendere permanente lo spazio con aiuole ineguali e variamente sagomate per la presenza di sinuose stradine. Fino al 1888 il Comune di Belluno procedette ad acquistare essenze arboree e floreali: in linea con il gusto dell’ultimo Ottocento furono introdotte molte piante esotiche”, cfr. Costa Antonella, Giardini nella provincia di Belluno : arte storia letteratura. Belluno Istituto bellunese di ricerche sociali e culturali, 2002, p. 141. ↩︎
- Fu realizzato nel 1910-11 su progetto dell’architetto Riccardo Alfarè, personalità molto apprezzata al tempo, autore di buona parte degli edifici della contermine via Caffi e di molti altri della città e dintorni, di stile sicuro e ben riconoscibile (cfr. Ordine degli Architetti della Provincia di Belluno, Opere di Alfare Riccardo, 1882-1969, Nuove edizioni Dolomiti, 1990). ↩︎
- Era il 28 Ottobre (cfr. Bersaglio, Bruno. Il treno per le Valli del Bellunese, Belluno 1975, p. 11-61). Il progetto della nuova stazione è sempre dovuto all’Architetto Alfarè. ↩︎
- Tra cui gli spazi per il Dopolavoro, la Mensa e una sala Polifunzionale usabile per balli, proiezioni e spettacolini. ↩︎
- In qualche tempo precedente doveva essere stata coltivata a vigna da cui il nome. ↩︎
- Il 18 maggio 1914 avvenne l’inaugurazione con un convoglio speciale che partì da Venezia per Belluno e proseguì fino a raggiungere Calalzo (Bersaglio, Ibidem, p. 65-112). ↩︎
- L’inaugurazione del tratto avvenne 24 settembre del 1938. Inutile dire delle molte difficoltà incontrate nella realizzazione stante le numerose gallerie da realizzare e la natura carsica dei terreni (Bersaglio, Ibidem, p. 119-132). ↩︎
- I suoi dati significativi: 160 metri di lunghezza, 33 d’altezza, otto arcate da 20 metri, un vero colosso dell’ingegneria ferroviaria. Il ponte venne fatto saltare completamente nel 1917 dal genio militare italiano per rallentare l’avanzata austriaca che lo riattivò con una struttura provvisoria in ferro e legno. Venne abbattuto nuovamente dagli italiani dopo la Battaglia del Piave, ma ricostruito a fine guerra, nel ’19 era già agibile. ↩︎
- La caserma Fantuzzi (1763 ca.–1801) fu fino a pochi anni or sono sede del Comando della Brigata Alpina Cadore. Nella foto panoramica si vede il vecchio complesso ferroviario essere disposto a sud della Caserma Fantuzzi. ↩︎
- Agostino Zadra ne fu progettista e l’edificio venne inaugurato nel 1934 presente anche Giuseppina Pizzigoni, fondatrice della Scuola Rinnovata di Milano, al cui indirizzo didattico la Gabelli voleva ispirarsi. 25 aule e laboratori con superfici dai 55 ai 70 mq e altezza superiore ai 4 mt, innumerevoli spogliatoi, servizi igienici e impianti doccia; soprattutto un immenso orto-giardino per le sperimentazioni dirette di programmi molto all’avanguardia dove la teoria si ricava dalla pratica (cfr. il libro virtuale ‘Gabelli’ in www.soraimar.it). Negli anni successivi ospitò anche mostre ed iniziative di diverso genere. ↩︎
- Fondata nel 1926 come ente autonomo, l’ONB confluì, insieme ai Fasci giovanili di combattimento, nella GIL (Gioventù Italiana del Littorio) a partire dal 1937. La denominazione fu ispirata alla figura di Giovan Battista Perasso detto ‘Balilla’, il giovane genovese che secondo la tradizione avrebbe dato inizio alla rivolta contro gli occupanti austriaci nel 1746: un’immagine di modello rivoluzionario parecchio cara al regime fascista. La foto in pagina mostra sull’edificio la sigla iniziale di ONB; in seguito ce ne sarà una simile con la trasformazione in GIL. ↩︎
- Nel 1933 i locali dell’esistente Liceo Tiziano, sono ‘indecorosi’; 1947 contributo statale di 20 milioni per la costruzione; 1951 inaugurazione del nuovo stabile. ↩︎
- Il progetto della scuola, dovuto agli ingegneri Gino Colle e Agostino Zadra, era stato approvato fin dal ’41 assieme a quello del liceo, ma la realizzazione avviene solo a metà degli anni Cinquanta e l’inaugurazione è nel decennio successivo. ↩︎
- Lo dico per esperienza diretta. ↩︎
- Costa Antonella, Giardini, op. cit., p. 142. Il giardino fu riorganizzato quando si costruì, dov’è attualmente, la nuova stazione ferroviaria. Il progetto di adeguati assi viari portò a ridurre l’area verde ai triangoli tuttora esistenti in Piazzale Cesare Battisti, collegato alla nuova stazione con una via alberata di tigli. L’architetto Alberto Alpago Novello (1889-1985) ideò la sistemazione dell’intera area nel 1928-29 e previde, per la superficie occupata dal vecchio edificio della stazione, un grande e complesso giardino esteso fino alla zona a destra della nuova stazione. Il progetto per il parco non ebbe corso, giacché l’area fu destinata ad edilizia scolastica. A destra della nuova stazione si realizzarono nel 1940 i giardini pubblici, seguendo un nuovo disegno dello stesso architetto. Essi si sviluppano su una leggera pendenza lungo la quale si sviluppa una scalinata che divide il giardino con simmetria ordinatrice. La ripetizione di ellissi di grandezza diversa è alla base della pianta, che si svolge intorno a un’aiuola centrale. Sono tuttora presenti gli elementi originali di arredo, i sedili, gli obelischi, la balaustra in pietra e la vegetazione prevista dal progetto (sofore, platani…). ↩︎
- Inaugurato il 6 settembre 1993. L’Opera è di Massimo Facchin, fornitore di sculture anche per il Parco delle Rimembranze (o Città di Bologna). ↩︎
- Il conducente è l’addetto responsabile del mulo (il ‘condotto’) che formavano col tempo una coppia affiatata, quasi in simbiosi. ↩︎
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