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mercoledì 11 Giugno 2025,

San Gioatà, il patrono dimenticato di Belluno

Un militare romano martirizzato nell’ultima grande persecuzione di Diocleziano agli inizi del IV secolo. Del santo c'è una statua sulla fontana di piazza Duomo a Belluno

La statua trecentesca sulla fontana di Piazza Duomo a Belluno rappresenta un guerriero in piedi, con una spada legata alla cintola e la ruota dentata del suo martirio. È san Gioatà, un militare romano martirizzato nell’ultima grande persecuzione di Diocleziano agli inizi del IV secolo. Il processo e la condanna a morte avvennero a Barce, in Cirenaica (oggi in Libia). Il suo raro nome (“Joathas” nel testo della sua “passio”, ma era la latinizzazione di un greco “Joatham”, un nome biblico che fotografa quella grande comunità ebraica ellenizzante “delle parti di Cirene” citata anche negli Atti degli Apostoli. In pratica era un libico di origine ebraica, militare dell’impero romano, convertito al cristianesimo e per questo ucciso. Non male come esempio del crogiolo mediterraneo!

Il suo martirio “alla ruota”, attestato nella antica “Passio” (in pratica il verbale dell’udienza in cui era stato condannato) consente ormai agli storici di spiegare quella grande ruota dentata raffigurata come strumento di tortura per molti santi di area mediorientale ed egiziana (la Cirenaica all’epoca apparteneva alla provincia dell’Egitto) come san Giorgio, santa Caterina di Alessandria e appunto il nostro san Gioatà. La ruota era vera, ma la sentenza “ad rotas” era una condanna ai lavori forzati fino alla morte, e il massacrante lavoro imposto era quello di venire attaccati come muli alle grandi ruote meccaniche che servivano per raccogliere e incanalare l’acqua per le grandi aziende agricole dell’entroterra egiziano e libico.

Le sue spoglie ebbero vicende complicate, perché nel giro di un paio di secoli la Cirenaica venne prima invasa dai Vandali (come racconta Sant’Agostino dalla sua Ippona assediata) poi riconquistata da Bizantini e infine sottomessa dagli Arabi. È in quel momento che le ultime comunità cristiane, sempre più ridotte e minacciate, presero la via del mare. Fu così che san Gioatà arrivò a Belluno, ma era in buona compagnia, perché arrivò sulle coste adriatiche assieme ai santi Vittore e Corona, partiti da Cipro, e allo stesso san Marco, arrivato in laguna da Alessandria d’Egitto, assieme a qualche centinaio di altri santi che sbarcarono in Europa mano a mano che la conquista islamica arrivava anche in Spagna (da dove, ad esempio, San Fruttuoso si rifugiò in Liguria) o in Sicilia (da dove Santa Lucia arrivò a Venezia).

San Gioatà fu accolto a Belluno alla fine dell’età carolingia, tra IX e X secolo, e fu una scelta oculata e di grande impatto, per dare un patrono unitario ad una comunità che era ancora divisa tra latini, ostrogoti, longobardi e franchi, tutti con i loro culti gelosamente particolari. Per san Gioatà il vescovo dell’epoca fece realizzare dai monaci iroscozzesi dello scriptorium di Verona una serie di inni liturgici che accompagnarono per secoli la sua festa, il 22 maggio, quando le sue reliquie venivano portate in processione in tutta la città. Fino al primo ridimensionamento tridentino, quando i vecchi santi medievali dovettero cedere il passo alla rinnovata sensibilità cristologica, e al colpo definitivo inferto da Napoleone, quando il grande busto-reliquiario in argento e oro venne requisito e fuso.

Rimane un modesto reliquiario a vetrina quadrata, in legno di pero, che ogni anno, il 22 maggio, ritorna per un giorno sull’altare della sua cattedrale di Belluno.

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