Non so dove sia stata scattata questa foto, so che tra i quattro muratori c’è mio nonno, sta in alto a destra, e vedo che questi lavoratori sono impegnati nella costruzione di un muro di sostegno. La porzione di pendio che sta franando alle loro spalle è imponente e la loro piccola costruzione di sassi e poca malta (senza macchinari, materiali e tecniche particolari), sembra ben poca cosa. Eppure, sono lì, al lavoro, e ciò che vediamo in questo scatto è anche l’orgoglio per quello che stanno facendo.
Questa foto dei primi del Novecento parla di lavoro, come i quesiti referendari dell’8 e 9 giugno. Credo che quel passato di emigrazione, lavoro, fatica, competenze, idee (che hanno reso la “forza lavoro” delle nostre valli protagonista in molti Paesi del mondo), possa aggiungere qualcosa al ricordo affettuoso che si riaccende guardando una vecchia foto. Quindi, se avvertiamo ancora accanto a noi la presenza di quelle persone e di quelle storie, abbiamo un dovere verso noi stessi e soprattutto nei confronti di chi oggi è precario, è giovane, è licenziato senza motivo, rischia la vita e la salute nel luogo di lavoro; di chi è nel nostro Paese per lavorare.

Qualcuno suggerisce di stare a casa e punta tutto sul non raggiungimento del quorum al referendum, e, per così dire, crede che la frana sarà più forte dell’opera di sostegno, che il dissesto idrogeologico sarà più forte dei lavoratori e delle lavoratrici, perché basterà non far nulla e aspettare l’inesorabile passare del tempo, attendere le piogge abbondanti, allearsi alla forza di gravità e accadrà il crollo. Ma nella vita è più bello il coraggio della partecipazione, del fare, del proporre, del costruire, anche “smussando-abrogando” qualche sasso per adattarlo alla necessità. Votare sarà un gesto libero e democratico: poter dire cosa si pensa, tutte e tutti attraverso un’azione che si colloca tra il passato di nonni e bisnonni e il futuro di figli e nipoti. Serve farlo a testa alta, rimboccandoci le maniche, magari in una domenica e in un lunedì di giugno dell’anno 2025, in nome di quel lavoro delle lavoratrici e dei lavoratori nominato nell’articolo 1 della Costituzione quale fondamento della Repubblica.
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1 commento
Luigi Franco Piacentini
Bravissimo !!!