Belluno °C

sabato 5 Luglio 2025,

13. Tonsille e adenoidi

«Il futuro è già passato ovvero mi, Belun, i Belumat e le bele compagnie». 13a puntata

Allora, quando si deglutiva male, non si respirava bene, si avevano spesso febbri improvvise e mal di gola e ci portavano dal medico, la colpa era, regolarmente, di tonsille e adenoidi. Il mio ‘pediatra’ era bravissimo e ne ho un bel ricordo perché è vissuto fin quasi ai giorni nostri ed era davvero un tipo speciale.

Il Dottor Menini, ‘dottore dei bambini’ – come diceva lui – aveva sempre un sorriso radioso e rasserenante, non sgridava né gridava mai ed era sempre perfettamente vestito con una tipica cravatta a farfalla che forse contraddistingueva l’ordine dei simpatici dato che un altro medico amico di famiglia, detto el Gravatin, ne portava anche lui sempre una1. Se non ricordo male aveva anche i baffetti e ovviamente la borsa nera da cui toglieva le solite cose per la visita a domicilio. Ricordo che aveva sconsigliato mia madre dal farmi operare dicendo che erano cose che passavano col tempo, ma alcune genitrici sue amiche dicevano di aver risolto il problema per i propri figli in via definitiva, con la chirurgia, e così e cosà. 

In definitiva la Ada cominciò a prepararmi, più che all’idea dell’operazione, a quella di mangiare dei prelibatissimi gelati che si ‘guadagnavano’, una volta fatta questa cosina dal dottore. 

Il ‘tagliagole’, lo dico ora, aveva il mattatoio nell’edificio vicino al Torrione che credo oggi sia sede bellunese della Regione, in piazza Mazzini2: niente di speciale, un normale lettino bianco, una specie di imbuto in acciaio inox, una scatoletta con attrezzi allineati. Mi fece sedere, aprire la bocca e infilatomi l’aggeggio che la teneva spalancata, rapidamente mi tranciò tonsille e adenoidi, in un baleno. Del dolore non ricordo ma la rabbia per l’imprigionamento forzato e il caldo del sangue in gola, quelli sì. Nel mentre mi dicevano di sputare nell’imbuto – e mi davano del ghiaccio tritato che non sapevo se sputare o deglutire – riuscivo a gridare a mia madre porzèla, porzèla piangendo disperato, proprio come qualche anno prima quando mi avevano curato la stomatite passandomi il limone forzatamente e ripetutamente sulla lingua (anche se allora era stata la zia Polda). Di gelati antiemorragici ne mangiai ben pochi e, fosse stato per quello, non ne sarebbe valsa la pena. Comunque, sono sopravvissuto. 

Le operazioni si chiamano oggi tonsillectomia e adenoidectomia: sono raramente eseguite e comunque dopo anestesia generale e con strumenti che cicatrizzano immediatamente le ferite: che culo ‘sti giovani d’oggi!

Senza adenoidi!

Leca a l Eca in Medatera

L’Eca.

Sempre nella medesima piazza, che zia Chechina chiamava ancora piaza de l pes, del pesce (ancor prima era della Motta o de le àneme ed ora, per quasi tutti, Piazza Mazzini), si affacciava il portone del palazzo3 sede dell’ECA, Ente Comunale di Assistenza4, proprio a fianco dei portici nobili che oggi proteggono l’enoteca.

La piaza del pes.

Che in piaza del pes si potesse sentire odore di baccalà mi sembrava perciò ovvio; quel profumo mi apparteneva fin dalla culla dato che, fatto alla vicentina, lo stoccafisso con cipolla e acciuga salata al latte era il piatto di casa per eccellenza, anche fuor di Quaresima. Poco importava che di pescatori non ce ne fossero più e che i banchi del pesce avessero preso la via per Piazza delle Erbe dove i Poletto, altri amici di famiglia, ne avevano uno di lungo e meraviglioso, al piano terra nel palazzaccio a fianco del vecchio Monte di Pietà. D’altra parte, da sempre, la gente appioppa alle Piazze nomi funzionali che spariscono con lo scadere del senso, come la sovrastante Piazza Vittorio Emanuele che – sempre mia zia Chechina – ricordava come piaza de la legna dato che vi si commerciavano materiali da far fuoco, al tempo di legna secca e carbon dolce (secolo che vai, nome di piazza che trovi!). D’altronde il nome ufficiale di piazza delle Erbe è oggi Piazza Mercato come ieri l’altro era Piazza di Foro. Più duraturo e transitante è il soprannome popolare di Campedel, oggi Piazza dei Martiri, ma già Piazza del Papa, secondo le onoranze di moda.

Piazza Mercato nel 1922.

Il banco da frutta di mia zia Maria, posto davanti alla macelleria dei Rui sul lato verso il Duomo e l’appartenenza sua e di tutta la famiglia paterna al rione, costituivano le mie credenziali utili per appartenere saltuariamente alla ghenga locale costituita anche dai figli degli amici di mio padre. 

Il circuito di via Rialto, Piazza Mazzini, via del Cansiglio, via San Pietro, via Santa Maria dei Battuti, slargo di via Santa Croce e ritorno per via Mezzaterra, con possibili varianti a 8 tagliando all’altezza del Seminario o a triplo incrocio usando via Valeriano, era la pista da corse preferita ovvero l’area giochi per la compagnia che al massimo arrivava fino a Porta Rugo a sud e raramente a Porta Dojona (troppo frequentata anche allora). Con quelli del Duomo era meglio lasciar perdere, altra razza, signorini e baciapile5.

Via Mezzaterra.

Nessuno di noi ha guardato ai magnifici palazzi cinquecenteschi della città vecchia come a straordinari esempi d’architettura; semmai ne ha apprezzato i marmi lisci degli scalini per tirare a bioldi o le lastre di pietra d’Istria sotto i portici per giocare al campanón senza perdersi a segnare i contorni. Per le gare a scondicuc6 piazza delle Erbe era ideale, con o senza bon banco7; il luogo della conta era di solito la colonna centrale e i posti tipici, dietro la fontana di San Lucano, a ridosso della porta della cappelletta della Beata Vergine della Salute pertinente al Monte di Pietà8 (gnent bon in ceʃa, per rispetto), dietro le colonnette della Loggia dei Ghibellini o appresso gli angoli delle vie convergenti.

Eravamo perennemente scalmanadi, cioè senza calma, senza rèchia (per requiem) – come diceva sempre la Chechina – rossi in faccia e sudati; fortunati e grati di avere a disposizione acqua fresca e squisita da bere direttamente dalle canne delle fontane9, che terminavano ciascuna a proprio modo con teste di cani, draghi o serpenti. Una mano al tubo, i piedi sui due ferri e la testa in su, con la bocca aperta al liquido desiderio; attenti a non far errori, pena un bagno indesiderato nella vasca di pietra, più che per il brivido, per la paura delle madri negli indesiderati ritorni o dell’inaspettato arrivo della guardia comunale.

  1. In realtà era il farmacista Gallimberti, anche lui simpaticissima persona, che gestiva la farmacia in via Rialto. ↩︎
  2. Palazzo Sammartini, ora Tison, risale alla metà del Settecento e sulla sua sinistra è dislocato un cancello da cui si accede al vecchio Torrione, poco ambito per i giochi anche per l’accesso da area privata. ↩︎
  3. Già Chiesa di San Giorgio del suffragio o ‘delle Anime’. Ebbe una storia complicata essendo stata iniziata nel 1673 e finita solamente nel 1709; venne chiusa al culto nel periodo napoleonico (1809) e quindi trasformata in edificio civile prima privato e, con l’acquisto da parte del Comune, utilizzata per il pubblico servizio della mensa dei poveri dell’ECA. ↩︎
  4. Fu molto attivo come risorsa specie nel periodo del fascio, dell’ultima guerra e nel dopoguerra fino a tutti gli anni ’50. ↩︎
  5. Le due vie cardinali dividevano la città vecchia in 4 parti. A nord ovest la contrada del Castello; a nord est ‘della Motta (Torrione o Castello Doglione, fino all’omonima porta); a sud ovest quella del Duomo e a sud est quella di Rugo. ↩︎
  6. I bioldi sono i tappi corona che si appesantivano con la cera e si indirizzavano a colpi secchi su percorsi prestabiliti; il campanón (campana o campanil, campanile) è gioco noto ovunque come pure lo scondicuc, che è il nascondino. ↩︎
  7. Con bon banco (buono, valido il banco) ci si poteva nascondere anche dietro i banchi delle verdure, altrimenti solo dietro colonne o altre strutture. Con gnént bon si dichiaravano le azioni proibite durante il gioco. ↩︎
  8. Ciascuno dei monumenti citati merita conoscenza e visita specifica. Il complesso del Monte di Pietà fu concluso nel 1531 ed è ricco di fregi e particolarità; soprattutto è indice di maturità sociale della città se si pensa a quando fu costituito (cfr. Miscellaneo S., Conte, P. Il Monte di pietà di Belluno e il suo archivio, Verona, Fondazione Cariverona, 2001). ↩︎
  9. Ogni piazza o piazzetta ne ha da sempre una a disposizione; e sono fra l’altro antiche (cinque-seicentesche) e molto belle, quasi tutte rotonde e col pilastro a quattro spine in posizione centrale. Ve ne sono però anche di addossate, comunque ben tenute e a disposizione come vuole una tradizione civile che rende famosa la città da secoli presso chi ci conosce (cfr. Dal Mas, M., Dal Mas, R. M. Le fontane di Belluno, Belluno, Piave, 1993 e Perale, Marco, Le antiche fontane di Belluno : per una ridefinizione della successione cronologica degli interventi in “Archivio storico di Belluno, Feltre e Cadore”, n. 298 (gennaio-marzo 1997), pp. 3-21). ↩︎

Tutte le puntate

1 commento

  • Così ben descritto che rivivo tempi lo tani quando era diversa la vita, con dei particolari belli da raccordare

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *