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domenica 7 Settembre 2025, Santa Regina di Alise

Mamme no-Pfas, se Davide batte Golia

L'editoriale sul numero 27 dell'Amico del Popolo datato 3 luglio 2025

Senz’acqua non c’è paesaggio, non c’è futuro, non c’è vita. Lo sanno bene le genti bellunesi che da sempre si preoccupano di tutelare questa risorsa indispensabile per la comunità. I “furti” di “oro blu” sono ancora tanti: dall’emungimento indiscriminato dei fiumi, agli sprechi idrici e la dispersione degli acquedotti. Ma fra tutti il “furto” più criminale e odioso, proprio perché siamo in tempi di scarsità d’acqua, è il suo inquinamento. Per questo avrebbe dovuto avere maggior risonanza la notizia di pochi giorni fa della sentenza del processo, il più grande mai celebrato in Italia, per inquinamento da Pfas: la Corte d’Assise di Vicenza ha condannato in primo grado 11 dei 15 imputati, dirigenti che si sono susseguiti, negli anni, alla guida dell’azienda chimica ex-Miteni di Trissino (Vicenza). Sono stati riconosciuti colpevoli del maxi-inquinamento delle acque superficiali, di falda e degli acquedotti in Veneto da sostanze perfluoroalchiliche, conosciute come Pfas, un vasto gruppo di composti chimici utilizzati per realizzare una svariata serie di prodotti.

Si tratta di una sentenza storica, che farà giurisprudenza non solo in Italia, ma in tutto il mondo, perché apre un nuovo capitolo sotto il profilo giuridico per il reato di avvelenamento doloso delle acque potabili. Una vittoria per nulla scontata che ha un nome e dei volti precisi: quelli di un gruppo di mamme venete che hanno avuto il coraggio di denunciare l’inquinamento della falda, quando pochi ne parlavano. Sono “le mamme no-Pfas”, che, alla fine, sono riuscite a strappare la cortina di silenzio che per anni aveva coperto una delle più grandi emergenze ambientali mai scoppiate in Italia.

Se oggi è noto ai più che le acque di un’area di 150 km quadrati nel cuore del Nord-est, tra le province di Padova, Vicenza e Verona, con 350 mila residenti, sono state avvelenate da queste sostanze è soprattutto per merito di queste madri che hanno deciso di alzare la voce. Voce di genitori di figli avvelenati, che hanno iniziato a reclamare informazioni e soluzioni, cercando di stanare il negazionismo strisciante da parte delle istituzioni. Hanno chiesto giustizia rivendicando il sacrosanto diritto alla salute dei propri figli. Grazie a loro la magistratura s’è attivata.

Tutto era iniziato nel 2017, quando le risposte delle analisi sulla ricerca dei Pfas nel sangue dei loro ragazzi, effettuate in un’indagine sanitaria voluta dalla Regione, rivelarono una drammatica concentrazione di questi perfluorati, che non si distruggono, ma permangono nell’ambiente e nell’organismo, “inquinanti eterni” e killer perfetti perché inodori, insapori e incolori. Da poche e confuse, grazie al loro attivismo e ai social, si sono ritrovate in più d’un migliaio, decise a dar battaglia in ogni sede possibile, dai ministeri romani al Parlamento europeo. Hanno ottenuto l’appoggio della Cei e la consulenza dell’avvocato ambientalista Robert Billot, esperti d’inquinamento da pfas, accorso in Italia per loro e comparso in udienza in tribunale.

Non poche tra loro provengono dal volontariato parrocchiale: c’è chi è scout e chi catechista. Per la causa, un giorno hanno portato in manifestazione diecimila persone, senza bandiere di partito né comizi. «Siamo piccole e fragili; ma sappiamo di combattere una giusta battaglia», mi disse, allora, Cinzia, una di loro. E oggi la battaglia (anche se non ancora la guerra) l’hanno vinta loro. Per tutti noi. Come “Davide contro Golia”, hanno commentato. Nessuno è riuscito a fermarle. Né a dargliela più a bere.

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